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Ateo e clandestino, il Settecento di Spinoza

“Possibile che l’umanità sia così indietro da credere che Dio sia lì ad attenderli dentro una chiesa, una moschea o una sinagoga?”.
I Lumi furono alimentati ontologicamente dai dubbi e dalla ragione, un fuoco prometeico che li rendeva devastanti nella loro più intima escatologia. Che attraversò come una cometa il Settecento, bruciando le erbe verdi e i campi di grano di tutta l’Europa.

Chi ne coltivava si scontrò con lo status quo, i poteri palesi e occulti: morì arso vivo sul rogo (Giordano Bruno, Giulio Cesare Vanini, etc.), processato dal potere temporale sino all’abiura (Galilei). O visse da clandestino nella patria d’accoglienza, la “libera e tollerante” Olanda, come Baruch Spinoza, ebreo nato in Portogallo.

Per Grafhofeel edizioni di Roma, a firma della filosofa leccese Mimma Leone, la vita romanzata: “Baruch Spinoza” (Il passo del clandestino), pp. 192, € 19,00, graphic designer Giulia Belfiori, collana “Intuizioni”, anche ebook.

Un romanzo impostato come un saggio, prezioso per capire il Settecento e i suoi geni letti come atei, ma che alla fin fine non negarono Dio (“l’Ente supremo che consta di infiniti attributi…”), cercarono solamente di dargli una definizione ancorata al loro tempo (“come fa uno come voi, a parlare come un profeta, sulla ragione come sola capacità che rende liberi?”).

Ebreo sefardita, Baruch “Benedictus” Spinoza era figlio del primo matrimonio di Michel, un mercante di stoffe che il naufragio di una nave con la sua merce rovinò mandò in rovina. Dal matrimonio successivo ebbe due figlie.

Costretti, per varie traversie, ad aderire al cristianesimo, per i suoi scritti Spinoza divenne inviso sia agli ebrei (“Scomunicato, esecrato, maledetto ed espulso”) che ai cristiani. Visse di poco (lavorò le lenti, spesso rifiutò i fiorini dei mecenati), spiato, pugnalato all’uscita di un teatro, abbandonato dalla promessa sposa (ma “il ricordo di Maria Anna era ancora presente…”), scambiò corrispondenza con i geni della sua epoca, si adattò a scrivere sotto pseudonimo, ma facilmente riconoscibile (il suo “Trattato Politico” subì aspre critiche: “prevedeva – dice la filosofa – un disegno strategico in grado di porre la ragione contro il pregiudizio, la democrazia contro la monarchia-tirannia…“.).

Mimma Leone traccia un superbo apologo sull’”uomo più empio e pericoloso del secolo”, ma anche il fato che incombe sul libero pensiero: da Socrate (inquisito, processato e condannato non da un crudele tiranno, ma dai sinceri democratici di Atene) a Cristo, da Seneca esiliato da Nerone in Corsica a Varlam Salamov, scrittore sovietico fatto marcire in un gulag a meno 50 gradi, sino ai laogai cinesi dove i pensatori sono spacciati per criminali comuni.

La vita di intuizioni estreme fuori dal mainstream (“Non dormite nella miseria della superstizione…”, “Il prigioniero può liberare gli altri, ma non se stesso…”) e di clandestinità (“esule nella sua città”) cui fu costretto il filosofo, ne è l’ennesima prova, ove ce ne fosse bisogno.
Ci sono voluti millenni per fare un uomo, e non è venuto granché bene: i carnefici e le vittime cambiano solo il nome e le epoche.
Per non disperare, diamoci qualche altro millennio, e poi magari chissà, vedremo…

Francesco Greco


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