“Così mangiavamo”, le antiche ricette del Sud recuperate dallo chef Giuseppe Petracca
Certo che la Storia, e la vita, offrono strane coincidenze, sciarade inspiegabili, snodi che offrono motive di profonde riflessioni. Nei giorni dell’irrazionalità suicida, in cui dei folli dichiarano guerra al vino italiano (perchè non alla loro birra?) dicendo che è dannoso, in cui si loda la farina di grilli, e la si mette sugli scaffali dei centri commerciali, e si tessono peana alla carne sintetica (il tutto con l’alibi del consumo di energia, tutto da dimostrare), e di altro rubbish, esce un libro prezioso, che dà voce al popolo, alla sua antica cultura e arte del cibo, del procurarselo, del cercarselo lontano da casa, gli infiniti modi di prepararlo, servirlo ai propri cari, vivendo la convivialità a tavola a tv spenta per consentire il passaggio della menoria e dei suoi mondi, di valori immortali, non relativizzabili.
Lo ha preparato Giuseppe Petracca, un passato di barman nel cuore del suo paese, Castrignano del Capo, all’ombra di Leuca, poi di pasticciere, e adesso di chef all’agriturismo “Serine” e di ricercatore.
Un bel giorno si è accorto che la memoria del cibo e dell’anima del passato si stava perdendo, così ha iniziato una ricognizione casa per casa presso le anziane massaie del paese, raccogliendo le loro voci prima che il tempo le spegnesse per sempre, i loro antichissimi segreti.
Proposti adesso in “La cucina delle massare salentine” (Edizioni Grifo, Lecce 2022, pp. 120, euro 13.00), piccolo gioiello da tenere in bella evidenza su una mensola in cucina, a portata di mano, che ha incontrato il favore dei lettori (siamo già alla seconda edizione), tanto che se ne sta preparando al versione in inglese per il mercato anglosassone e mondiale.
Un libro dove si parla di “paparina stumpata”, “pummadori scattarisciati”, “pisce a sarsa”, “fave verdi cu l’ovu calatu intra” e tanto altro (sarà presentato alla biblioteca di Castrignano nel pomeriggio del 25 marzo, a cura dell’assessore alla Cultura Giulia Chiffi e la bibliotecaria Rosanna Schina).
Secondo la scuola di pensiero che avanza, roba da tso, dovremmo scacciare queste prelibatezze genuine che ci sfamano da generazioni per far posto ai grilli? Evitare la “pignata de pasuli” per la carne sintetica?
Sul background del bellissimo lavoro, abbiamo chiesto lumi all’autore.
DOMANDA: Come, quando e perché ha deciso di procedere al recupero della cucina del passato?
RISPOSTA: “Ho sempre sognato di aprire una locanda, avendo già lavorato nell’osteria di mio padre negli anni ’70. Da allora il mio percorso lavorativo è stato un susseguirsi di esperienze maturate in attività di mia proprietà, ma sempre distanti dalla “cucina”.
In seguito, dopo aver ceduto l’attività di pasticceria, gelateria e bar, il solito pallino mi ha portato sulla strada della ristorazione presso hotel del posto.
Qui ho avuto modo di esprimere il mio concetto di cucina “semplice”, prettamente salentina, accolto sempre con entusiasmo dai commensali.
La mia passione e curiosità per la cucina salentina hanno fatto sì che scrivessi il mio primo libro, spinto anche dall’entusiasmo degli amici, che molto spesso mi chiedevano le ricette.
Attualmente lavoro presso un agriturismo del posto dove ho trovato la dimensione giusta per poter esprimere al massimo le mie capacità nella preparazione di piatti tipici”.
D. Ha trovato difficoltà, ostacoli nelle ultime massare di Puglia, o si sono aperte facilmente?
R. “Assolutamente no, un po’ perché essendo del posto conoscevo le Signore, che mi hanno arricchito lo spirito con le loro storie e i loro saperi. È stata un’esperienza fantastica e costruttiva”.
D. C’è un filo rosso che lega il modo di cucinare e mangiare dei nostri antenati, degli aspetti particolari?
R. “Nelle interviste fatte alle “massare” ho acquisito informazioni che risalgono ai primi anni del ‘900, dato che l’età media delle signore si aggira intorno agli 80 anni; parliamo del 1940 e giù di lì.
Se teniamo conto poi che i loro genitori già cucinavano quello che avevano avuto in “eredità’” dai loro stessi genitori, immaginate cosa è venuto fuori dai loro racconti.
Certamente alcuni piatti risultano oggi improponibili, poiché sappiamo che nel periodo della guerra e dopoguerra la povertà era dilagante e si rifletteva nella preparazione delle pietanze, come quello che mi raccontava una signora di 87 anni, che preparavano in un unico piatto, una pasta al sugo e tutt’intorno mettevano delle boghe fritte (un pesce azzurro molto pescato nei fondali del nostro mare), così ognuno prendeva un pesce e mangiava la pasta al sugo. Una cosa però è certa: sapevano sfamare la famiglia con piatti semplici ma nutrienti”.
Francesco Greco