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Quella “Paddotta” che parla di memoria, radici, identità

SALVE (LE) – “Perdersi è una condizione di necessità. E’ necessario perdersi per poter andare oltre. E’ necessario disimparare ciò che siamo per rinnovarsi…”. Chiaro come un concept, una filosofia di vita, un karma, un mantra,

Perdersi è partire, lasciare i luoghi del cuore, dell’infanzia, la terra tumara e avara dove si è stati felici, in cerca di un posto nel mondo, per i propri sogni, la propria dignità.

Gino Martella è partito da Salve (Lecce) paese di contadini alla “scatina” (come suo padre) e di emigranti, e si è “perduto”, come tutti noi. Nel suo caso a Sarzana, in Liguria, per fare il biologo ambientale.

Ma da lontano si vede meglio, la visione si fa pura, i ricordi limpidi e capisci chi sei, da dove vieni, dove potresti andare. E vedi più chiara anche la tua terra, la sua storia, i miti e i riti, contraddizioni, archetipi. E la memoria ereditata trasmessa oralmente, le radici solidamente ancorate alla terra, i confini della tua identità.

La passione per il cinema ha fatto il resto attivando una serie di relazioni, umane e artistiche. Nasce così “La Paddotta/The Clumb”, un cortometraggio “di finzione” di 8 minuti, un tributo commuovente, un debito di riconoscenza, alla propria terra e agli avi, a tutti i padri del Sud che, impregnando di sudore la “paddotta” da sole a sole, hanno dato un futuro meno gramo del loro ai figli compiendo la loro mission come accade da secoli e millenni.

Col figlio Niccolò (studente di design della moda) Gino ha scritto soggetto e sceneggiatura. L’ albero con i volti scolpiti, tra le scene è di Cristian Cataldi, scultore di Parabita (Lecce) che ha anche recitato: “Un vero poeta, spirito guida, genius loci”.

Il progetto ha visto la partecipazione di Massimo Bondielli (DOP). I dialoghi in musica sono realizzati da Marco Jeronimo Merino. Le voci sono di Giuseppe Cederna, Elisa Maggio e Niccolò Martella. La scrittura è stata sostenuta dai consigli di Fredo Valla (sceneggiatore e regista, premio David di Donatello e fondatore con Giorgio Diritti de “L’Aura Scuola di Cinema” di cui Gino è allievo) e Antonello Ricci (poeta, scrittore e performer fondatore della “Banda del Racconto” e dei “Narratori di Comunità”).

Il film è prodotto dalla Caravanserraglio Film Factory, fondata nel 2014 dal regista Massimo Bondielli, dal coach Marco Matera e dallo stesso Martella.

Il corto ha vinto il premio BEST NATURE FILM al GLOBAL SHORT FILM AWARDS di New York. La premiazione si è svolta il 24 maggio a Cannes (in concomitanza col Festival di Cannes) presso il Carlton Hotel.

Il Global Short Film Awards (GSF Awards), diretto da Andres Aquino, riconosce l’eccellenza nei cortometraggi altamente creativi ed è un evento leader mondiale.

In questi giorni è proiettato in Brasile, all’International Ecoperformance Festival.

“Un luogo prende forma da un’immagine e un ricordo. Su questo intreccio emotivo hanno lavorato padre e figlio nella scrittura del film”, premette Martella.

Parliamo della genesi estetica e artistica che piace alle giurie di mezzo mondo?

Il progetto della “Paddotta”, termine con cui in griko salentino si nomina una zolla di terra, è il racconto onirico del mito delle radici. Il film è dedicato a mio padre contadino scomparso nel 2010 e a tutti coloro che decidono di andare lontano dalla propria terra d’origine.

La scansione prevalente è il ritorno, i nostoi, che suscitano emozioni, ma anche amare scoperte…

Il nostro destino è tornare nei luoghi del rito dell’adolescenza. Gli ulivi secolari del Salento hanno vissuto insieme a intere generazioni di abitanti di questa terra, rappresentando un legame tra umani vivi e trapassati.

La loro sofferenza, la loro morte diventa la metafora della società contemporanea. Il rampicante si avvinghia sul tronco d’ulivo secco. La vita soffoca la morte. In questo eterno ciclo siamo costretti a camminare e sognare, se non vogliamo perdere l’equilibrio.

C’è anche un livello di introspezione, di autoanalisi, un transfert dalla natura all’animo umano…

Attraversare il territorio come in un sogno e guardarsi nel profondo. Provare al tempo stesso dolore e gioia davanti al paesaggio devastato dalla fitopatia causata dal batterio Xylella fastidiosa, con certi tronchi di ulivo morti trasformati in volti da uno scultore.

A partire dal 2010, i contadini iniziarono a osservare il disseccamento delle chiome degli ulivi coltivati nelle campagne intorno a Gallipoli.

Da allora il batterio Xylella fastidiosa ha infettato più di 21 milioni di alberi, causandone la malattia e la morte e provocando un grave problema ecologico, economico e un dramma sociale.

Una sensazione amara, di desolazione, aspetta chi torna dopo tanto tempo…

Un luogo, come scrive Marc Augè, ha tre caratteristiche: è identitario, individua l’identità di chi lo abita; è relazionale, stabilisce una reciprocità dei rapporti tra gli individui; è storico, mantiene la consapevolezza delle proprie radici in chi lo abita.

Il paesaggista Gilles Clément definisce terzo paesaggio i luoghi abbandonati dall’uomo. Negli ultimi anni in molti luoghi del Salento devastati dalla Xylella sta avvenendo un vero e proprio processo di costruzione di una neo-identità di un neo-luogo con nuove relazioni sociali.

Un processo che partendo dall’abbandono sta creando un qualcosa di nuovo.

Francesco Greco


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