Torre Pinta, Sant’Apollonia, Centopietre: luoghi di cura delle malattie per millenni
L’ipogeo di Torre Pinta (Otranto), la Grotta di Santa Apollonia (San Dana) e il monumento delle Centopietre (Patù): un filo rosso unisce questi tre topoi monumentali, testimonianze della Puglia arcaica e leggendaria dal cui immaginario sedimentato nel tempo e nell’affabulazione orale si può estrapolare il loro significato.
Ci interessa, per la nostra disamina analitica, molto il livello quel che il racconto popolare ci rimanda dai millenni passati in relazione all’aspetto terapeutico di questi tre monumenti che rappresentano una sintesi dell’anima apula, dei tanti popoli che l’hanno attraversata, colonizzata, vissuta, lasciando ognuno qualcosa di sé. Anche le suggestioni, le credenze, le superstizioni.
La medicina del passato aveva un livello di suggestione notevole. Si fondava sulle erbe e sulla chirurgia spiccia. I “ferri” trovati nelle campagne di scavi o emersi dopo abbondanti piogge sono delle selci, attrezzi rudimentali soprattutto del Neolitico che servivano a intervenire nella cura delle patologie, da Ippocrate in poi, per molti secoli.
E tuttavia, era proprio la suggestione – oggi diremmo l’effetto-placebo – ad avere un ruolo fondamentale nella cura di certe malattie. E qui non ci si riferisce alla danza terapeutica che esorcizza il morso della taranta. Ci soffermiano invece su tre malattie molto diffuse, nel passato soprattutto – anche a causa delle condizioni climatiche – ma pure oggi, nel XXI secolo: le cefalee, le malattie alle articolazioni e il mal di denti. Certo, oggi la prevalenza è delle patologie cardiovascolari: le chiamano le malattie del benessere, portate dall’alimentazione ricca di grassi e di zuccheri che fanno ammalare di colesterolo, diabete, ecc.
L’affabulazione popolare ha conservato sin ad ora tracce nel linguaggio quotidiano di quel che avveniva nei tre topoi succitati. A San Dana gli anziani ricordano che sino a mezzo secolo fa, c’era una vera e propria “processione” di gente – donne, vecchi, bambini – col mal di denti che non andava dal calzolaio (la civiltà contadina era autarchica anche in questo: erano loro i dentisti provetti e sopratuttto a buon mercato che tiravano “vangari”) ma alla Cripta di Sant’Apollonia. Sedevano per delle ore sul trono in pietra dove si vuole meditasse l’eremita San Pacomio e alla fine se ne tornavano a casa col dolore attenuato, a volte anche scomparso. Che la pietra abbia una sua porosità che emana e assorbe energia non è un fatto nuovo: basta leggere tutti i libri della psicologa statunitense Elizabeth Jankins, che apprende questi poteri dagli sciamani sulle Ande (New Age e Next Age si reggono anche su tali convinzioni).
Come i vecchi di Patù: anche loro raccontano di “pellegrini” che da tutta la Provincia si recavano alla Centopietre nel tentativo di trovare requie a mal di testa e cefalee. Sedevano in un angolo e stavano là una, due ore. Poi si alzavano e se ne andavano rinfrancati.
Anche nei racconti dei vecchi di Otranto e in tutto l’entroterra idruntino c’è traccia di quel che avveniva nello splendido ipogeo oggi incluso nell’azienda agrituristica di “Torre Pinta”, sulla suggestiva collina che domina il porto. La gente che, afflitta da reumatismi, artriti, artrosi e quant’altro, nell’antichità vi si recava, si stendeva sulle pietre e ne usciva, se non guarita, almeno sollevata.
La credenza sopravvive anche oggi, Terzo Millennio: in un pomeriggio d’agosto, a Torre Pinta abbiamo trovato – è stato l’input per questo articolo – una signora 40enne di Bologna, affetta dalla cervicale, e un uomo più o meno della stessa età venuto dalla Sicilia steso sulle pietre. E successivamente una coppia: lei di Pisa, lui siciliano, entrambi con forti dolori alle ossa. La medicina del passato, dove prevaleva la suggestione – ma quella di oggi non è da meno, tra agopuntura e omeopatia – riemerge come un iceberg per dare sollievo a patologie da sempre esistenti. Posto che ci si accosti con animo sgombro dallo scetticismo, disposti a “credere” nei suoi benefici effetti. Solo con tale predisposizione d’animo si può avvertire, se non l’eliminazione ex abrupto della patologia, quanto meno un senso di liberazione e di sollievo.
La componente psicologica e psicosomatica di una malattia, lo dicono da sempre gli studiosi, è rilevante e se la mente è “predisposta” a guarire, trasmettendo l’input al corpo, questo non può non ascoltarla donando, se non la guarigione, almeno un senso di benssere. In fondo l’essere umano e la sua energia interagiscono con quella dell’Universo, degli altri, gli animali, le piante, le pietre in un’empatia ricca di terminazioni nervose quanto di contaminazioni carsiche e di superficie, inafferrabili, inspiegabili e forse proprio per questo efficaci. E comunque, tentare di afferrare il mistero dell’Universo e dell’uomo, con un parametro razionale, è un atto d’arroganza e di superbia di cui forse alla fine è proprio l’uomo a pagare i costi in termini di un inaridimento interiore che, in chiave psicosomatica, spesso è alla base di molte malattie, di ieri e oggi.
Francesco Greco