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Il menhir delle Vardare a Diso

Insoliti, differenti, enigmatici e misteriosi. Sembra che spuntino dalla terra come funghi per definire i punti con i quali tracciare una costellazione. Non si sa chi e quando li abbia costruiti e per quale scopo ma, ciò che veramente importa, è che siano ancora li, dopo aver sfidato secoli e religioni, credi e culture differenti: i menhir.

Nell’agro di Diso, lungo via delle Vardare, si può ammirare uno dei menhir dalle forma più insolite: ricorda una T. Prende il nome dalla strada delimitata da antichissimi muretti a secco che costeggia il piccolo fazzoletto di terra, acceso in primavera dai vivaci colori di papaveri e camomille, nel quale è infisso, a pochi passi dalla cappella della Madonna della Neve.

Menhir delle Vardare

Scoperto da Giovanni Così, nel 1980, il menhir ha potuto trovare la sua attuale collocazione dopo anni di totale anonimato costretto, come è stato, a condividere le sorti di altre pietre, dal passato decisamente meno interessante, come limitoni di fondi e proprietà. Era infatti riverso al suolo mentre adempiva a questo suo nuovo compito, chissà da quanto tempo, quando gli occhi attenti dell’uomo a cui dobbiamo la (ri)scoperta di numerosi monumenti megalitici, nella terra dei valorosi guerrieri messapici, ha restituito a questo monolite la sua atavica dignità.

Ai menhir sono state associate le più disparate funzioni: segnalare assi viari e villaggi importanti, canalizzare l’energia elargita dal dio sole per fecondare e rinvigorire la terra, indicare tesori e acchiature nascoste da ogni creatura del mondo delle fiabe e non.

Le potenzialità pagane del monolite, utilizzato probabilmente come Osanna fin dal medioevo, non sono passate inosservate agli occhi di Madre Chiesa che ne ha esorcizzato l’essenza incidendo sulla sua superficie due croci ben evidenti. La catechizzazione avveniva di solito anche nel nome, e come in un nuovo battesimo il menhir divenne la “cruce”, indicativo con il quale sono conosciuti ancora molti dei suooi compogni.

Il menhir delle Vardare è caratterizzato dall’avere sulla sua sommità una piccola coppella, anche questa dall’origine e dalle funzioni incerte. È stata voluta fin dall’inizio dal suo “architetto” o è frutto di un danneggiamento operato dall’uomo nei secoli passati? Se fosse voluta potrebbe essere un indicatore di rituali di libagione o connessi al culto delle acque. Qualsiasi fluido versato all’interno della coppella sarebbe esondato lungo tutta una superficie del menhir, la stessa sulla quale sono incise le due croci greche.

Sono ancora tanti i misteri da svelare in questa terra di papaveri e pietre anche se, probabilmente, se conoscessimo ogni dettaglio su questi enigmatici custodi del passato potrebbero perdere, decisamente, ogni fascino.

Marco Piccinni


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