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Il villaggio bizantino di Apigliano

Un villaggio bizantino che si estende per quasi due ettari, abbandonato, come diverse altre centinaia di villaggi o casali censiti nella provincia di Lecce in un programma di ricerca sul medioevo dell’antica Terra d’Otranto. Il suo nome è Apigliano e in oltre 10 anni di scavo non ha ancora svelato a pieno tutti i suoi più intimi segreti.  Quì, dal 2006, sorge un parco archeologico voluto dall’amministrazione comunale di Martano che ha acquisito parte dell’area interessata allo studio.

Le indagini archeologiche hanno portato alla luce un’anima greca. Epigrafi e riti funerari sono del tutto simili a quelli rinvenuti all’interno dei territori della Grecìa Salentina. Una popolazione non autoctona ma in linea con i continui flussi migratori ellenici che hanno interessato il mediterraneo e il Salento in particolare.

Unico villaggio in terra d’Otranto dotato di una struttura, risalente al X secolo, per la lavorazione del metallo: una cavità di forma ovale scavata nella terra, probabilmente la base di un basso forno. Nelle immediate vicinanze sono state rinvenute diverse scorie metalliche oltre che una moneta in lega di Rame dell’imperatore bizantino Romano I che ne ha consentito la datazione.

Aveva una scarsa densità abitativa: abitazioni sparse di cui sono rimaste pochissimi resti, probabilmente data l’alta deperibilità dei materiali di costruzione utilizzati. La sua posizione non sembrerebbe avere nulla di tattico: posto a 85 metri sul livello del mare in un luogo apparentemente privo di sistemi di difesa naturali e con scarse possibilità di sfruttamento agricolo (se isoliamo un discreto uliveto) data la pessima fertilità del terreno ricco di roccia affiorante.  Ottimo invece per l’allevamento, probabilmente di ovini-caprini dai quali si ricavavano carni e diverse materie prime tra cui la lana.

Un sistema di pozzelle per la raccolta dell’acqua nel sottosuolo ad appena 700 metri dall’abitato, descritte anche dal De Giorgi e conosciute come le Pozzelle di Apigliano, garantiva un sufficiente approvvigionamento idrico. Una distanza facilmente percorribile a piedi come quella che separava questo centro da altri villaggi vicini della Grecìa e dei comuni limitrofi, raggiungibili in circa 90 minuti di cammino lungo sentieri e tracciati, in parte ancora visibili, che ricalcano gli assi delle centurie romane.

L’analisi dei frammenti di ceramiche rinvenute nell’area con la tecnica del Carbonio 14 ha consentito di collocare la presenza umana nella zona sin dal V secolo a.C.,  quando il Salento “apparteneva” ancora ai Messapi. I primi insediamenti  enucleati, invece, risalirebbero al VII secolo quando ad Apigliano sorgeva già un vero e proprio villaggio che continuò a pulsare certamente fino al XV secolo, quando il rapido e continuo susseguirsi di incursioni saracene costrinsero la popolazione ad abbandonare le proprie case per rifugiarsi, con molta probabilità, nella vicina e più sicura Martano.

Al periodo di dominazione romana risale invece una gemma delle dimensioni di pochi millimetri realizzata in calcedonio latteo, un materiale intriso di simbolismo magico, sulla quale è raffigurata l’immagine di Giove a mezzobusto, nudo e di profilo, con lo scettro nella mano destra. Una vittoria si posa sulla sua mano sinistra e regge una corona per cingerli il capo. Una raffigurazione tipica di gemme e monete dell’età romana e quindi molto diffusa in ogni parte dell’impero.

Villaggio di Apigliano – sepolture

La continuità insediativa sarebbe certificata dalla presenza di due chiese, quella di San Nicola di età svevo-angioina, ricostruita oggi all’interno del parco sulla base delle informazioni desunte dall’indagine archeologica, e quella di Santa Maria, oggi dedicata a San Lorenzo, restaurata nel 1582 quando si sa per certo che il villaggio era già disabitato.

La chiesa di San Lorenzo, più recente, ad unica navata, è l’unica nella zona dove si celebrava la funzione religiosa con una qualche frequenza anche se principalmente in occasioni legate alla devozione della “Vergine di Apigliano”, tradizione mantenuta fino alla fine del XVIII secolo. Una volta “abbandonata”, la chiesa venne destinata a ricovero per attrezzi agricoli. I due contrafforti sono stati aggiunti nella prima metà del 900 per porre rimedio a problemi strutturali. Del ciclo pittorico una volta presente al suo interno non ne è rimasta traccia, anche se la sua presenza è desumibile dai pezzi di intonaco affrescati rinvenuti al suo interno. Sia nella superficie interna che in quella esterna sono state rinvenute delle sepolture, alcune danneggiate dal cantiere adibito per il restauro dell’edificio nel XVI secolo e del quale sono ancora bene visibili le tracce.

Villaggio di Apigliano – chiesa di San Lorenzo

Ma è stata la chiesa più antica, quella di San Nicola, a restituire un patrimonio di informazioni ben più ricco. Anche di questa sono stati rinvenuti alcuni resti di intonaco affrescato oltre che un altare in pietra abbozzato. Al suo interno sette sepolture di uomini adulti e bambini con copertura al livello del piano di calpestio e caratterizzate da alcuni graffiti rappresentati scacchiere da gioco. Queste sepolture furono certamente riutilizzate nel tempo e la presenza di una lastra di copertura rendeva decisamente più semplici le procedure di riesumazione e inumazione dei cadaveri.

Tutta l’area consacrata intorno alla chiesa era un vero e proprio cimitero. Sono state identificate 60 tombe e 24 fosse-ossari. Queste ultime erano solitamente poste in prossimità di uno dei loculi che veniva utilizzato per generazioni successive dalla stessa famiglia. L’inumato precedente, alla morte di uno dei discendenti, veniva riposto su di un lato della tomba oppure disarticolato all’interno dell’ossario con la sola eccezione del cranio, che invece rimaneva nel sepolcro dove sarebbe stato poi deposto il nuovo cadavere.

Villaggio di Apigliano – chiesa di San Nicola e Pajara

Le posizioni più ambite per la sepoltura erano i “primi posti”, quelli più vicino alla chiesa, più costosi e inaccessibili a coloro che non appartenevano alla comunità. I bambini solitamente venivano inumati nella superficie immediatamente sotto il tetto, il quale avrebbe benedetto l’acqua piovana al sol tocco e assicurato, bagnando ripetutamente la copertura del piccolo sepolcro, un infinito ciclo di benedizione.  Una piccola regola che poteva incorrere in alcune eccezioni dettate da fattori economici.

Le sepolture solitamente erano orientate in direzione est-ovest, con il cranio rivolto ad ovest, spesso sorretto da un cuscino in pietra, il viso verso il cielo ed i piedi ad est. Secondo l’ideologia Cristiana, infatti, nel giorno del Giudizio Universale il Cristo apparirà da Oriente. La maggior parte delle tombe di Apigliano segue questo orientamento.

Tra le labbra e i denti dei defunti veniva riposta una moneta in bocca,  che ha consentito di datare le sepolture collocandole in un intervallo di tempo compreso tra gli inizi del XIII e la fine XIV secolo.

Le caratteristiche sepolcrali sono simili ad altre rinvenuta nella Grecìa Salentina e del tutto differenti da quelle di altri villaggi vicini, come ad esempio Quattromacine, che avvalorerebbe l’ipotesi di un’origine greca per la popolazione di Apigliano.

Marco Piccinni

Paul Arthur e Brunella Bruno (a cura di), Apigliano, un villaggio bizantino e medioevale in Terra d’Otranto. L’ambiente, il villaggio la popolazion – Arti grafiche Panico, Galatina.

 


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