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Il Menhir Polisano

Ai confini tra i comuni di Muro Leccese e Giuggianello, ai piedi della leggendaria collina della ninfe e dei fanciulli dove si rincorrono ancora, a distanza di secoli, le parole di Nicandro di Colofone e la maledizione delle ninfe Epimelidi ai danni di giovani, ingenui e spavaldi pastori messapici; dove gli ulivi sembrano urlare pur senza emettere nessun suono che orecchio umano possa udire, ma scuotendo ogni filo d’erba nella vallata in cui Ercole affrontò una delle sue dodici fatiche e disturbando il sonno della vecchia, sul suo antico, millenario giaciglio. E’ in quest’angolo che si innalza una stele in carparo, il menhir Polisano.

Il menhir Polisano prende il nome dalla contrada in cui è situato e dove un tempo sorgeva un omonimo casale medioevale, una zona fertile di architettura in pietra: dai monumentali muretti a secco per i quali sono stati utilizzati, probabilmente, materiali di reimpiego da strutture precedenti; la famosa porta trilitica di accesso ad una cisura,  recentemente mutilata della parte superiore; un grosso blocco monolitico; la vicina chiesa della Madonna di Pompignano, nell’omonimo e scomparso casale e altri menhir, alcuni perduti per sempre, come quello identificato a pochi metri dal menhir Polisano da Luigi Maggiulli nella seconda metà dell’800, andato distrutto, o l’imponente menhir di Sant’Antonio nel territorio di Muro Leccese, ancora presente.

Il menhir Polisano è alto 3 metri e 44 centimetri e presenta sulla superficie tacche, incavature, e i segni di un pesante danneggiamento che lo ha visto alla fine degli anni settanta del secolo scorso (1977), cadere in più pezzi per essere poi ricomposto sul finire del XX secolo sul sito originario.

Marco Piccinni


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