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Grotta Sartrea

Drizzate sugli attenti come un esercito in fila. Sono centinaia le stalattiti che si dipartono dalla volta della bellissima grotta Sartrea, in agro di Acquarica del Capo, quasi come a voler accogliere il visitatore che ha avuto l’ardire di oltrepassare uno stretto budello prima di giungere a destinazione. Un passaggio difficoltoso ma che ha impedito alle correnti d’aria di penetrare con violenza nell’invaso, lasciando così alle concrezione la possibilità di crescere, ingrossarsi, costruendo meravigliose sculture, modellando pregiati drappeggi, spennellando lo spazio con variazioni cromatiche calde dei colori della terra.

Sono numerose le informazioni che si possono desumere osservando ciò che l’acqua ha pazientemente costruito nel corso dei secoli. Colate di calcite, bianca, purissima, che non lasciano spazio a contaminazioni di alcun tipo affiancate da colate rossicce, nelle quali invece traspare la presenza di ferro e suoi derivati.

Grotta Sartrea, Acquarica del Capo.

Grotta Sartrea, Acquarica del Capo.

In alcune stalattiti è possibile osservare il fenomeno della telescopia, che conferisce a questi speleotemi una stratificazione non consolidata, permettendo ad ogni singolo strato di poter essere sfilato da quello che lo avvolge. Sono formazioni tipiche di ambienti che hanno subito i postumi di una glaciazione o una forte erosione del terreno che sovrasta le cavità e attraverso il quale permea l’acqua, oppure ancora ottenuti da strati “polverosi” che non consentono a quello successivo di saldarsi a quello precedente.

Alcuni crolli, molto evidenti, forse i residui di un evento sismico intenso, forse più semplicemente il cedimento di una o più faglie sulla volta, hanno lasciato spazio alla formazione di nuove concrezione in un volume che ha assunto una consistenza “metafisica”, compatibile con l’estro di De Chirico. Geometrie contorte che si diramano nelle tre direzioni tra le quali trovano posto diverse tane, principalmente di volpi, che qui si riparano dalla calura estiva garantendo un valido riparo alla prole dai predatori.

La grotta è stata scoperta intorno agli anni ’80 e il suo nome è un acronimo dei nomi degli speleologi del GSN che l’hanno identificata. Si sviluppa complessivamente per 100 metri, e quello che si può vedere oggi è il frutto di un lavoro di disostruzione durato oltre 1 mese, stimolato dalla presenza di numerose e dense correnti d’aria che si sviluppavano all’interno della cavità. Termina con una frana disostruita per una decina di metri, prima che la prudenza per l’instabilità dell’ambiente indusse gli speleologi ad interrompere i lavori di esplorazione.

Una moltitudine di formazioni che non hanno paragoni con quelle delle due grotte che le sono vicine, la Madonna della grotta, ricca di incisioni medioevali a sfondo religioso/devozionale, e la grotta Antonietta, poco più distante e scoperta inseguito al principio di uno scavo ad uso cisterna.

Tre grotte che insistono ai margini di un antico canalone dove un tempo sorgeva un piccolo insediamento e che, secondo alcuni, potrebbe lasciar intendere la presenza di ulteriori cavità, fittamente nascoste dalla vegetazione, che attendono pazientemente di essere ri-scoperte.


Marco Piccinni


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