Home » Libri del Salento » NOVECENTO. Comi, il poeta solitario

NOVECENTO. Comi, il poeta solitario

LUCUGNANO (Le) – “Una sola giornata basta, amore, / a raccogliere il palpito e la fiamma, del tuo paesaggio…”.

Un poeta sfuggente, incodificabile, solitario, fuori dalle scuole e dalle correnti letterarie, che pure marcarono il primo e secondo Novecento della letteratura italica.
Legge d’amore – che poi m’incateni / alle fulgide norme, ai ritmi eterni / della bellezza…”.

Irriducibile a una sola password (com’è per Bodini e Pagano), Girolamo “Momo” Comi fu unico, come d’altronde Terra d’Otranto dove nacque (Casamassella, 1890-Lucugnano, 1968), fu svezzato e di cui succhiò gli umori terrestri e metafisici più antichi e profondi.

Essenza d’ogni mondo / in me sale e si sfalda, / si riproduce in alba / di fulgore più fondo…”.

Metabolizzandoli, per restituirli in versi magnifici, di sorprendente modernità e di cui tuttoggi si tenta la decodificazione, la riduzione a unicum. Come, a ben vedere, la sua stessa vita, sempre work in progress, nel senso che se le opere non riescono a inquadrare il poeta, l’opera e alla fine l’uomo in una pregnante osmosi, forse ci riescono i racconti della gente, di chi lo ha conosciuto: solo che questa materia è considerata sociologia e non finisce, purtroppo, nei saggi degli studiosi, che enucleano ciò che vogliono.

Nel Sesso bruto e oscuro / è l’ansia di un dio puro / lo sviluppo perfetto / di un’entità che vuole…”.

Visse e viaggiò molto (Francia Svizzera, si dice anche Gran Bretagna, ma non è tracciata, ecc.), ma amò anche tanto, di quel sentimento universale e cosmico, diremmo leopardiano, che solca l’umanesimo negli sprazzi di cui irrora ogni epoca.

Umano, troppo umano, Momo amò la sua terra, gli uomini che la vita gli mise intorno, la cultura, e il lavoro quotidiano, oscuro e faticoso, ma anche il rischio quando si mise in società con i suoi contadini per produrre e vendere olio, in uno snodo sociale, “socialista”, cui i critici non danno il dovuto risalto.

Povero Momo: dovrebbe stare nell’Olimpo, accanto a Ungaretti, Montale, Quasimodo, Saba, Penna, Gatto, ecc., e invece è finito nel cono d’ombra dell’oblio nella sua stessa terra, di cui aveva capito la grandezza, la bellezza, la sfinita sensualità, senza ristampe (sorte che tocca a tanti in questo tempo insulso in cui si vive solo di un presente patologico e del suo delirante baccano), anche perché molte opere se le pubblicò da solo, in poche copie, sprezzante del successo, del marketing: l’agorà viva di luce di Lucugnano, l’amore della sua gente gli bastò.

A 51 anni dalla morte (3 aprile 1968), giunge opportuna la riproposizione di ampi lacerti della produzione raccolta in “Poesie” (Spirito d’armonia, Canto per Eva, Fra lacrime e preghiere), Musicaos Edizioni, Neviano 2019, pp. 348, euro 25, per la curatela di Antonio Lucio Giannone (che dirige la collana appena inaugurata, Novecento in versi e prosa / Testi) e Simone Giorgino e un’intrigante nota biografica di Lorenzo Antonazzo. Un’operazione alta, che intende proporlo alle nuove generazioni.

Un’immagine sei della mia ebbrezza / inquieta ma ricca…”.

Forse il più prossimo alla sciarada di Momo fu il parigino Ricciotto Canudo, quando nel 1912, recensendo “Il Lampadario” (opera giovanile che forse rinnegò), trovò quei versi “plein de grâce e d’originalité”, parlò di “vision de la vie, noble, sobre, élégante et profonde…”. E vale per tutte le opere successive, pur espresse da varie stagioni esistenziali.

Questa raccolta svela un pò dell’enigma-Comi, che tale continua a essere (la sua “conversione”, per dire, fu reale o gliel’hanno attribuita i posteri con qualche forzatura?) e forse tale resterà.

Poiché, come diceva Fellini, poco si sa e tutto s’immagina. E a noi questo Comi così sfaccettato di umori e di amori, pregno di luci e di ombra, così barocco, piace così…

Francesco Greco


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.