NUOVI SCRITTORI. “Vite di C’era”, l’invisibile nell’impercettibile
Opera prima dell’ancor giovane autore Antonio Romano (pugliese di Acquarica del Capo, Lecce, ma nato a Galatina), infermiere di professione e scrittore per vocazione.
In questo romanzo, articolato in sei racconti (illustrati da Maria Concetta Olimpio), Romano narra le vicende di Nepente (alter-ego autobiografico), infermiere presso l’Azienda Ospedaliera di Siena, che racconta le sue esperienze in corsia e non.
Il primo racconto, “Fermare il tempo”, vede come protagonista Luigi, anziano degente dell’Ospedale, affetto da una grave forma di fibrosi polmonare, che non si sente pronto per morire e vorrebbe per questo “fermare il tempo”.
Luigi trova nei frequenti colloqui con Nepente la via per uscire da quell’invisibilità che è il suo cruccio maggiore.
Nel secondo racconto, “Il viaggio della sposa”, Nepente narra la storia della giovane figlia Maria, moglie e madre esemplare, ragazza del Sud che sogna un viaggio in America, a New York, terra della libertà.
Ma una neoplasia cerebrale distrugge tutti i suoi sogni.
Il terzo racconto, “La follia della normalità”, ci presenta un malato con problemi mentali dovuti alla sua infanzia disgraziata: padre che lo ha abbandonato a dieci anni, madre di conseguenza alcoolizzata e poi suicida. Poi l’ingresso in una comunità terapeutica e la somministrazione di farmaci: in comunità un raggio di sole, rappresentato da un bambino di sette anni, biondo e dagli occhi celesti, che gli regala un disegno fatto da lui, compare nel silenzio quasi autistico del paziente.
Il quarto racconto, “L’uomo dalle tre vite” ci fa piombare nell’esistenza di Salvatore, nato nel 1935 in un paesino dell’entroterra leccese. Ha frequentato solo la terza elementare, per il divieto di andare a scuola del padre autoritario e severo, che ha preferito mandare il figlio a lavorare nelle cave insieme a lui. La seconda vita di Salvatore inizia con la chiamata alle armi ad Avellino: il giovanotto conosce nuovi mondi e, al termine del servizio militare, decide di trasferirsi a Milano esercitando il mestiere di barbiere, imparato sotto la naja.
A Milano, nel salone di barbiere in cui lavora, conosce quella che diventerà la sua amata moglie e che gli darà due splendidi figli. La famiglia si trasferisce a Lodi, dove Salvatore apre una bottega di barbiere finalmente tutta sua. Gli anni passano, e la vita scorre felice tra visite in Puglia all’amatissima madre e la tranquilla e sereno vita familiare.
Ma, proprio quando Salvatore sta per godersi la meritata pensione, arriva la sua terza vita, quella meno desiderata: la tanto amata moglie si ammala del morbo di Alzheimer, senza dare all’inizio segni percettibili della malattia che in breveper i due coniugi, diventa uno struggente calvario.
La donna inizia un percorso solitario e misterioso, durante il quale arriva a non riconoscere più il marito. Nel 2013 viene ricoverata in un centro specializzato in Abruzzo: Salvatore è contrario a questa decisione, ma capisce che deve lasciare andare sua moglie.
Questo racconto, raccolto da Nepente, ci insegna a fare tesoro del tempo che abbiamo in questo momento, considerando l’imprevedibilità e la rapidità degli eventi. Siamo, alla fine, tutti ruote di un ingranaggio imperfetto.
Il quinto racconto, “Decifrare l’indecifrabile”, vede Nepente, incuriosito, rivolgere la parola a un vecchio elegante e distinto, che ragiona come un filosofo, il quale, convinto dall’attenzione di Nepente alle sue dissertazioni, gli narra la sua storia.
Era felicemente sposato con una donna che amava, pur non avendo avuto figli, ma un giorno distrusse la sua felicità buttandosi a capofitto nel lavoro e nella carriera. Divenne un importante uomo d’affari trascurando completamente la moglie per cinque lunghi anni: la donna, con una lettera d’addio, lo abbandonò lasciandolo solo, e il Professore (così lo chiamavano nel quartiere), che era sempre solito sedere su un muretto a discutere con Nepente e a guardare il paesaggio, sarà colpito da infarto quando saprà che la moglie si è suicidata.
La sindrome di Tako Tsubo è nota come sindrome del cuore infranto. E’ caratterizzata da una disfunzione del ventricolo sinistro dovuta a stress acuti come minacce alla propria vita o separazioni affettive importanti. L’insegnamento che questa storia ci propone è quello di coltivare e nutrire i rapporti costantemente. Bisogna rispolverare ogni giorno i nostri gioielli: solo in questo modo il bagliore originario non verrà mai intriso dalla polvere.
Nell’ultimo racconto dell’opera, “L’attore regista”, per Nepente è il grande giorno: si trasferirà nel nuovo reparto di Traumatologia e Ortopedia. Ma, proprio in quel giorno, si sente male, viene ricoverato in Endocrinologia e i medici gli diagnosticano un Diabete di Tipo 1.
Il Diabete di Tipo 1 è una patologia cronica provocata dalla lesione autoimmune delle cellule beta del pancreas. Una volta danneggiate, queste cellule non produrranno mai più insulina. Nepente dovrà effettuare un dosaggio insulinico per il resto della sua vita e seguire una dieta controllata.
Si trova alle prese con una malattia da non sottovalutare ed ama immaginare l’iperglicemia come un’anziana signora che sforna manicaretti prelibati che Nepente, buongustaio, mangerà un giorno anche se è diabetico, e l’ipoglicemia come una bambina che indossa una veste bianca di lino, indifesa e dolce.
Nepente da regista è diventato attore, trovando la propria vita completamente stravolta e trasformandosi così, col suo nuovo percorso da tracciare, da infermiere a paziente.
Libro dalle venature tristi e malinconiche (e come potrebbe essere altrimenti?), “Vite di C’era” adotta lo schema di riferimento basato su un approccio metodologico denominato “nursing narrativo”, in cui non ci si trova di fronte alla classica impostazione del saggio, poiché l’articolazione delle narrazioni proviene direttamente da ciò che emerge dai soggetti.
Vogliamo concludere con due citazioni, una di John Bratner: “Soltanto coloro che evitano l’amore possono evitare il dolore del lutto. L’importante è crescere attraverso il lutto e restare vulnerabili all’amore” e una di Patch Adams: “Se si cura una malattia si vince o si perde, ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia”, che ben riassumono lo spirito del testo e che lasciano uno spiraglio luminoso di luce su una realtà di sofferenza e di dolore.
Insomma, un libro che occorre leggere,e su cui riflettere attentamente.
ANTONIO ROMANO
“VITE DI C’ERA”
L’INVISIBILE NELL’IMPERCETTIBILE
EDIZIONI MUSICAOS, NEVIANO, LECCE, 2020
PP. 214, EURO 15.
Valter Cannelloni