Corigliano d’Otranto, storie di pietre, guerre e nobiltà
CORIGLIANO D’OTRANTO – Amo i libri che fanno sentire viva la terra che calpesto. E’ questo il caso di “La famiglia delli Monti, marchesi di Corigliano: quante storie”, di Giuseppe Orlando D’Urso, Edizioni Grifo, Lecce, 2020, €25,00.
Così Giuseppe Orlando D’Urso continua la sua opera di approfondimento e divulgazione su Corigliano (G. O. D’Urso, “Corigliano d’Otranto. Memorie dimenticate”, 2000; G. O. D’Urso, S. Avantaggiato, “Il Castello di Corigliano d’Otranto”, 2009; G. O. D’Urso, “Non per le medaglie e per le ovazioni… Corigliano d’Otranto nella Grande Guerra”, 2016; G. O. D’Urso, “Corigliano d’Otranto dal 1799 all’Unità d’Italia. Fermenti politici, sociali, letterari”, 2011; G. O. D’Urso, “Corigliano d’Otranto dove le pietre parlano”, 2015) oltre ad altri saggi.
Attraversare Corigliano d’Otranto, con gli occhi e le orecchie resi sensibili dalle parole di questo libro, lo popola di suoni e personaggi che lo hanno abitato e caratterizzato con le loro azioni.
Fatti d’arme risuonano e il grido di terrore “Mamma, li Turchi!” che ancora echeggia nella cultura salentina prende vita prepotentemente nella figura di Francesco delli Monti. Egli nella notte tra il 6 e 7 febbraio 1481 era accanto a Giulio Antonio Acquaviva che guidava le truppe Aragonesi e insieme tentavano di fermare i Turchi che «avevano incendiato, devastato e saccheggiato Soleto e Galatina».
Concentrate le forze a Melpignano “i nostri” affrontarono i Turchi, recuperarono il bottino di guerra e, non paghi del successo, decisero di inseguire i nemici fino a sotto le mura di Otranto. Troppo per ”i nostri” che, nei pressi di Uggiano la Chiesa, località Scalelle, si trovarono di fronte forze fresche turche.
I due fronti ingaggiarono furiosa battaglia nella quale Giulio Antonio Acquaviva perse la testa, fu decapitato, e il nostro Francesco delli Monti ferito e imprigionato.
Uomini d’armi sono stati quasi tutti gli uomini della casata delli Monti (Girolamo, Ferrante, Giorgio per citarne qualcuno) come si conveniva ai maschi illustri dell’epoca. Lo è stato anche la figura più prestigiosa e completa della casata: Scipione delli Monti.
Egli racchiudeva tutte le qualità e le caratteristiche dell’uomo rinascimentale: militare e letterato. Conosceva sette lingue ed era capace di comporre in diverse di queste; fu archeologo, mecenate, protettore, mentore di letterati, aderendo all’Accademia dei Piacevoli Venusiani assunse il nome di Principe.
Le parole di Giuseppe Orlando D’Urso danno luce a vite famigliari e spaziano disegnando rapporti umani e di potere con personaggi illustri internazionali e dello Stato Nazionale. Francesco delli Monti, reso prigioniero e deportato in Turchia durante le lotte per Otranto, fu apprezzato da Maometto II e poi dal figlio Bajazet. Perciò Re Ferdinando gli affidò il delicato ruolo di ambasciatore a Costantinopoli per trattare la tregua dopo la resa di Otranto del settembre 1481 e poi, in questo ruolo, svolse missioni diplomatiche presso diversi sovrani come l’imperatore di Germania, in Ungheria e presso il Papa.
Ma rimando alla lettura del libro la straordinaria epopea che è la vita di Francesco delli Monti, marchese di Corigliano d’Otranto.
Illuminati dalle “storie” di Giuseppe Orlando e ad occhi aperti godiamo i segni materiali dell’eredità delli Monti: il Castello. Fu rifugio per la popolazione locale durante la lotta contro i turchi per la presa di Otranto e successivamente Giovan Battista delli Monti, con una totale ristrutturazione, lo ha reso il «monumento di architettura militare e feudale» che visitiamo oggi.
Personaggio di grande cultura e uomo d’armi, Giovan Battista tra il 1505 e il 1515 fuse «quei principi ideali di nobiltà, regalità e munificenza» che fanno parte del clima culturale del periodo con «le esigenze concrete di un castello difensivo solido e inespugnabile».
I torrioni, coi bassorilievi e le epigrafi in latino, sono opera d’arte e il Castello, il maggior gioiello di Otranto.
A passi felpati entriamo nelle vite che ci hanno preceduto e vi cerchiamo, nei comportamenti, il seme di un’eredità spirituale che ci troviamo dentro. Pietà per Ippolita delli Monti, figlia di Francesco. E’ una figura tragica. I suoi figli maschi, Giacomo, Ascanio e Sigismondo, morirono nello spazio di una settimana, avvelenati dal cognato motivato a questo dalla speranza di ereditare dal fratello privo così di eredi maschi. Le donne ne erano escluse.Interesse e rispetto per Geronima, “signora” capace di risolvere gravi tensioni sociali tra abitanti del luogo e immigrati albanesi.
La casata conta anche la fine infame e controversa di due delli Monti: Pompeo e Ferrante. Pompeo salì al patibolo il 4 luglio 1566 e Ferrante il 18 marzo 1651. Pompeo accusato di eresia e Ferrante scoperto al centro di un complotto per assassinare il viceré.
Sono «figli di un tempo disperato, vittime a causa della libertà negata, martiri senza possibilità di scelta» dice Alessandro Laporta, Direttore Emerito della Biblioteca Provinciale “Nicola Bernardini” di Lecce che introduce il volume.
Una saga famigliare che conta anche un Francesco II «di tardo e stupido ingegno» e un Alessandro, poi Padre Tommaso e vescovo di Crotone.
Storie che fanno la storia di Corigliano e del Salento, e sono protese verso l’alto. Ne seguiamo le tracce nelle vite dei delli Monti e nella partecipazione alle lotte dei salentini. Noi c’eravamo, al seguito dei signori locali, non solo nell’eccidio di Otranto e nelle lotte svoltesi sulla nostra terra, ma anche nelle storiche “guerre d’Italia (1494.1559) o nella “guerra dei trent’anni”, ci fa notare D’Urso.
Ecco come la Grande Storia e la Storia Locale si intrecciano per darci il senso della nostra identità. Siamo ancorati a radici che ci lanciano nel mondo se sappiamo riconoscerle nella loro interezza.
Tina Aventaggiato