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La philìa di Pitagora a Casarano

“Felice è la città dove i filosofi sono re e i re filosofi!”, (Platone, “La Repubblica”, Libro V). E infelice la città che non sa di avere uno dei tesori dell’umanità: la chiesa di S. Maria della Croce, in Salento, a Casaranello. C’è colpa più grave del non riconoscere la bellezza, il mito, il mistero, il divino in tempi in cui governano dèi così volgari?

Pitagora dell’isola di Samo, poi di Crotone (colonia greca dove si esiliò: il pensiero è sempre combattuto, Inquisizione e gulag sono venuti dopo), vir sagaci anima (Plinio), fu una delle menti più limpide e attive prima di Socrate cui si specchiarono in tanti, Platone e Aristotele in primis.

Non ci fu materia che non indagò (dagli astri alla metempsicosi e ovviamente i numeri), e ovviamente, fondò una scuola dove i suoi allievi si abbeverarono influenzando e corroborando il pensiero del loro tempo e dei secoli futuri. Un’aristocrazia del pensiero: vegetariani, vestiti di bianco, solidali (vivendo di rendita, aiutavano gli adepti costretti ad attività remunerative). Il bios phythagorikòs suggeriva, fra l’altro, moderazione nel cibo, il sonno, il letto e aveva in ubbia, chissà perché, le fave, la malva, alcuni tipi di pesci.

Una delle scuole a lui successive (II e III secolo d.C.), potrebbe essere proprio quella di Casaranello, un topos denso di una strana alchimia, che sedimenta un sincretismo religioso che giunge ai nostri giorni dopo che il Cristianesimo vi ha sovrapposto i suoi simboli senza rimuovere quelli pagani.

L’ipotesi nasce dallo studio dei dipinti, quanto meno uno dei passaggi del suo fascinoso, strutturato palinsesto.

Studiosa scrupolosa nell’elaborazione delle tesi e la formulazione delle teorie, senza indulgere all’hybris e adottando il format di Jacques Le Goff (“sistema ideologico d’interpretazione simbolica”), scansionando una ricca bibliografia, riflette in “Il Pitagorismo di S. Maria della Croce a Casaranello”, Edizioni Esperidi, Monteroni di Lecce 2021, pp. 178 – XVI, € 22,00, delizioso apparato fotografico, bella cover di Beatrice Malorgio, appena presentato da ArcheoCasarano nell’incantevole location trattata.

Sedimentato e complesso (non siamo forse nella terra del barocco?) il simbolismo espresso nei mosaici parietali (i motivi zoomorfi e floreali, ma anche gli affreschi attinenti un ciclo cristologico, Passione e morte, Ultima Cena, bacio di Giuda, etc.), la cupola e l’abside in particolare, il tutto proposto in appendice da foto che trasmettono una possente e polisemica filologia.

Se tutto è segno, pregno di metafisica, fitto grumo semantico, tre fave, delle pere, un carciofo, una lepre che gusta un grappolo d’uva, etc., riecheggiano – argomenta la studiosa – il pensiero pitagorico, le speculazioni cosmologiche e le successive e suggestive ellissi del neopitagorismo che permea tutt’oggi il pensiero e l’arte occidentale e indoeuropea.

A Casaranello, aggiunge, non c’è soltanto un manufatto, ma soprattutto “il sentimento di una città invisibile come tutte le utopie: luogo dove soffia lo spirito…”. Sin dai tempi del maestro di Crotone (“Qui viveva in volontario esilio, per odio verso la tirannide…”, Ovidio, “Le Metamorfosi”) e delle sue scuole sparse nel Mediterraneo perché “Quasi tutto quello che gli uomini hanno detto di meglio è stato detto in greco”, Marguerite Yourcenar ne “Memorie di Adriano”.

Francesco Greco


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