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Patù: il gatto alle centopietre

Lecce: l’ago della bussola nostrana ci orienta verso “Sud-Sud-Est” dunque ci apprestiamo a raggiungere il remoto, “chilometricamente” parlando, entroterra del Capo di Leuca.
Il Comune di Patù è situato su di una china tufacea a pochi passi dal mar Ionio ed a circa 63 km dal capoluogo di provincia. L’origine del toponimo ha variegate provenienze e, secondo alcune supposizioni il nome del piccolo centro deriverebbe da un tale Verduro Pato, custode dei granai posseduti dai Signori di Vereto. Successivamente, stando alle linguistiche influenze francesi, il “cognome” dell’antico guardiano, si è evoluto in Patù. Altre testimonianze presumono che il termine possa derivare dal greco “pathos” e che rimandi al significato di “dolorepatimento”; questo sofferto “dispiacere” venne inflitto agli abitanti veretini,durante le feroci scorribande saracene del IX secolo d.C. che misero a ferro e fuoco l’antica città messapica di Veretum.

Strada che conduce alla collina di Vereto

Conosciuta fin dal V secolo a.C. viene citata dallo scrittore greco Erodoto,il quale racconta che alcuni marinai cretesi diretti probabilmente verso le coste siciliane, trovatisi improvvisamente in balia del furioso e gonfio Mar Ionio dovettero ripararsi presso lo scalo della vicina località marina del porto di Torre San Gregorio e da quest’approdo sicuro, lungo la scalinata messapica,giunsero nell’entroterra. Gli scampati fondarono varie colonie,tra le quali menzioniamo la città di Iria che divenne in seguito Vereto. Concorde è l’opinione degli studiosi nell’asserire che il punto più elevato di tutta la collina, corrisponde al centro dell’antica città messapica, zona in cui oggi sorge la chiesetta della Madonna di Vereto. In antichità una possente cinta muraria di circa quattro chilometri proteggeva la città, mentre durante il III secolo a.C. Vereto fu elevata prima a sede di Municipio romano ed in secondo luogo divenne un distaccamento della Zecca. A riprova dell’esistenza del municipio nella chiesa di San Giovanni Battista di Patù si conserva un blocco di marmo con un’incisione latina datata tra il I-II secolo d.C. (M. Fadio M.F. / / Fab. Valerino / / Post mortem / / M. Fadius Valerianus pater / / et Mina Valeriana mater / / L.D.D.D. (Locum Decreto Decurionis Dant) (A Marco Fadio / / Valerino / / dopo la morte / / Marco Valeriano padre / / e Mina Valeriana madre / / posero con decreto del Decurione).

 

La chiesa della Madonna di Vereto

Passeggiando tra gli agresti sentieri dell’estrema periferia del paese, ci ritroviamo tra i possenti ruderi della città messapica e dalla fitta ed incolta vegetazione che, lentamente sembra fagocitare gli enormi blocchi murari, spunta un “agile gatto” impegnato a stringer tra le fauci un irrequieto pesciolino. Troppo indaffarato per accorgersi della nostra presenza egli ci conduce, prima di dileguarsi furtivamente alle spalle di un’antica rovina, su di un ondulato selciato dove dimora dianzi a noi il Centopietre. L’enorme complesso monumentale costruito con cento grossi macigni di pietra squadrati, da cui deriva il nome, proviene dalle macerie della città messapica; heroon è l’atavico nome del monumento funebre che avrebbe dovuto custodire le spoglie del cavaliere Geminiano. L’antefatto: durante le incursioni saracene il re di Francia decise di scendere in guerra per proteggere quei territori sotto assedio tra i quali anche Vereto.

Il monumento delle centopietre

Il codice guerresco prevedeva che prima dello scontro armato, un emissario di entrambi i fronti, venisse inviato nel campo nemico per tentare di giungere ad un accordo di pace; questo episodio coinvolge Geminiano (secondo altre versioni, in Barone Geminiano era il signore delle terre in questione). Il cavaliere attraversato il luogo della battaglia (ossia la piana di Campo Re, dove attualmente sorge Patù), per dirigersi in territorio nemico a risolvere il casus belli, non fece più ritorno. Lo scontro era inevitabile.
Nel giorno di San Giovanni Battista dell’anno domini 788, l’esercito dei Cristiani travolse e vinse nella battaglia i saraceni. Qualche giorno dopo il corpo morto del cavaliere venne recuperato ed in suo onore fu costruito il primitivo mausoleo funebre detto Le Centopietre; in seguito le spoglie di Geminiano furono traslate in terra di Francia.
Attualmente il tempietto longitudinale di forma quadrangolare presenta una copertura con tetto a due falde; nel suo interno una serie di pilastri suddividono l’ambiente in due zone; sulla parte di fondo si intravede un affresco raffigurante alcuni Santi di origine orientale. Secondo alcune testimonianze in epoca medioevale il complesso venne utilizzato dai monaci basiliani e successivamente trasformato in Chiesa paleocristiana. Prima di lasciare il solenne sito, diamo uno sguardo al cartello informativo vicino la Chiesa di San Giovanni Battista, e proprio al centro del pannello vi è raffigurato lo stemma Comunale caratterizzato da “quell’agile gatto” graziosamente seduto e rivolto di tre quarti, sempre attento e con la preda tra i denti. Appena usciti dallo svincolo per Patù-San Gregorio troviamo un tipico agriturismo salentino risalente al XVI secolo che nonostante i dovuti restauri mantiene inalterata la struttura originaria. L’attuale complesso fu residenza estiva dell’allora Ministro dell’Interno Borbonico Liborio Romano, nato e morto a Patù.

Giuseppe Arnesano


Un commento su “Patù: il gatto alle centopietre

  1. Bisogna valorizzare sempre le risorse che ogni paese d’Italia possiede ed il Salento è ricco di storia e di monumenti antichissimi che non possono andare perduti. Ed i dipinti all’interno delle Centopietre (ed anche della chiesa del Vereto) stanno deperendo perchè le Belle Arti non riescono a capire che bisogna trovare comunque le risorse per non far scomparire le tracce della storia del paese che può rappresentare anche un’occasione unica per garantire un flusso turistico non solo balneare ma legato ad un preciso progetto che valorizzi le risorse culturali del territorio di Patù. Ma non si può più perdere tempo perché l’umidità sta cancellando tutte le pitture esistenti ed il recupero se si perde ancora del tempo sarà impossibile.

    VERETUM (Patù)

    Dall’ermo colle
    ove solingo
    giornate passo a rimirare il mare,
    la tua casa riguardo
    e tracce cerco della tua presenza.

    E mentre penso,
    sotto i miei piedi
    orme lontane inseguo,
    tratturi dell’antica via traiana
    che la storia sovrastano,
    al tempo perdurano
    e la memoria antica,
    tracce di porti e navi,
    nei fondali del mare
    archiviano incostanti.

    L’urlo dei cavalieri ancor resiste:
    nella vallata l’orda musulmana
    cozza contro il Vereto
    e la respinge.
    E se la croce è un simbolo che dura
    se quella mezza luna ancor resiste,
    se nei geni della razza vinta ancor persiste
    la traccia dell’antica violenza allor subita,
    anche il bianco vessillo dei crociati
    al sole splende tra le mura antiche
    d’una rocca che protezione diede,
    e riparo e conforto,
    a quella gente che l’onta subì impotente
    delle incursioni
    degli infedeli predoni saraceni.

    E questa terra,
    figlia della stirpe dei cretesi, dei messapi,
    dell’orgoglioso e forte popolo japigio,
    le tracce ancor conserva
    d’una cultura che non è finita.

    Dormente giace
    sotto le zolle, tra le pietre di questo suolo ingrato,
    e nel tempo teschi ed ossa ridona
    all’ignaro bracciante
    che al sole le zolle rivolta
    e sassi ammucchia ai bordi dei poderi.

    Le vestigia antiche ancora custodisce
    d’una storia tutta da stilare
    che sempre a un popolo appartiene,
    d’una storia che il tempo non cancella
    e che attende, paziente,
    che al sole riemerga e che sia letta.

    Salvatore Armando Santoro
    (Boccheggiano 23/12/2009 12.22)

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