Multietniche, spesso dirette da donne, nacquero in Puglia nell’Ottocento: le bande
TRICASE – “Quando la banda passò / volevo dire di no…”. (Mina). Ah, i musicanti! Non ne perdonano una. Castigano più dei marinai e dei produttori cinematografici: una donna in ogni paese. Medici, camerieri e preti, secondo un recente sondaggio, vengono dopo. Fino all’800, la musica era roba da ricchi: la ascoltavano nelle serate negli ombrosi cortili dei palazzi baronali, nei saloni affrescati dei castelli di conti, marchesi, baroni. Ai poveri era interdetta, come se non potessero apprezzare la Turandot, la Traviata, il Bolero, la Lucia (di Lammermoor). Scarpe grosse e cervello fino, i contadini s’inventarono il modo di godere anche loro la musica: alle feste dei Patroni. La prima banda di cui si ha notizia nacque nel 1797 ad Acquaviva delle Fonti (Bari).
Le prime avevano divisa e stellette: militari, ma in odor di liberalismo. Tanto che i Borboni s’insospettirono, vi lessero propaganda anti-regime che magari non c’era e crearono dei corpi speciali che controllassero i movimenti dei musicanti nel loro vagare di paese in paese. Come spesso accade, più soffochi un movimento più lo radichi: così i Re contribuirono a diffondere la musica che piaceva al popolo in tutto il Regno: Puglia, Lucania, Campania, Abruzzo, Molise. Il processo di gemmazione le ha portate anche al Nord e oggi sono circa 5mila. Ma è nel Sud che il fenomeno si diffonde, diventa demo, costume popolare cadenzato dal dolce fluire del tempo insonne.
Una banda di giro è composta in media da 40-45 elementi. Un tempo formate da operai, contadini, artigiani autodidatti che imparavano uno strumento, suonavano a orecchio, ignoravano il pentagramma, le biscrome e arrotondavano le entrate del desco. Oggi sono tutti, o quasi, diplomati di Conservatorio. Da qualche anno anche le donne sono entrate negli organici, sebbene la vita dei musicanti è tosta. Non solo, ma i concerti bandistici sono diventati multietnici e multirazziali, con musicisti provenienti da extra moenia, soprattutto l’Est europeo.
In una stagione che dura 6 mesi, da aprile a settembre, arrivano a fare anche 100 concerti, spesso in località distanti l’una dall’altra 2-300 km. La giornata-tipo del musicante è da stakanovisti. Si arriva nel paese in festa annunciati da una “carcassa” (rumoroso fuoco pirotecnico), ci si accampa quasi sempre nelle palestre delle scuole o comunque in posti di fortuna e subito si suonano le marce per le vie paese, per raccogliere le offerte. Poi si esegue qualcosa anche in piazza. A mezzogiorno ci si cucina un boccone, ma spesso il comitato-festa fa, come si diceva un tempo,”le spese”. Nel pomeriggio dietro alla processione del Santo. E non è finita, perché il lavoro prosegue la sera seduti, sotto la cassa armonica illuminata a giorno. Fino a notte fonda. A volte la gente riconoscente, fa piccoli regali, dolci, frutta.
Cosa si suona? Il programma è concordato col comitato-festa alla stipula del contratto. Quasi sempre le stesse opere: Norma, Aida, Rigoletto, Traviata, Turandot, Cavalleria Rusticana, La gazza ladra, Il Barbiere di Siviglia. A volte il manager, su suggerimento del maestro concertatore e direttore, cerca di inserire opere poco note. Quasi sempre però sono depennate preferendo andare su un repertorio già collaudato, noto al pubblico. Si finisce a notte inoltrata e dopo aver accompagnato il paese al luogo scelto per i fuochi pirotecnici, con un panino e una birra nello stomaco, si va a dormire se l’indomani si suonerà ancora lì o, dopo aver ricaricato gli strumenti, ci si mette in viaggio, sul pullman, nella notte per raggiungere la nuova destinazione, dormicchiando alla meno peggio. All’arrivo ci si rinfresca un pò, si beve un caffè e si ricomincia.
Negli ultimi anni sono apparse anche le “bacchette” donne, che hanno richiamato un pubblico più massiccio. E’ da dire che i direttori a volte diventano un mito preceduti da leggende e aneddoti. Ma anche i solisti sono personaggi, spesso “star”. Le bande hanno un pubblico stanziale, quello del paese, e uno diciamo “nomade” che la segue: melomani dall’orecchio fino in grado di beccare la stecca del clarino in “Lucia di Lammermoor”e l’entrata con un attimo di ritardo della tromba nella “Norma”. Gli strumenti sono a fiato, di legno, d’ottone. Repertorio classico, s’è detto, ma anche innovazioni: tipo la musica di Nino Rota, le colonne sonore dei film di Federico Fellini. Caratteristica comune è comunque che gli strumenti sostituiscono le voci dei cantanti: il flicorno sopranino della donna, il flicorno tenore, o baritono, dell’uomo.
La banda è ormai cultura radicata e diffusa e, come s’è visto, non da oggi. Da tempi lontani ci sono molti raduni bandistici. Quello di Tricase, nel Leccese, per esempio, must dell’estate, che di solito si tiene a luglio e dove i gruppi musicali si alternano sul podio. O ”Bandalarga”, la rassegna di Conversano (Bari). La musica dei poveri si afferma e si diffonde sempre più, e lo sarà ancora in futuro ora che la buona gente s’è impadronita d’uno dei suoi topos più intriganti e densi di pathos del suo patrimonio culturale.
Francesco Greco
Bibliografia:
[1] ACCOGLI, Francesco, I Concerti Bandistici Tricasini (1873 -1954), Galatina,
TorGraf, Luglio 1997
Ciao e complimenti per l’amore e la passione con cui sono state compilate queste pagine sulle bande di Tricase. Sono un docente di musica originario di Castiglione d’Otranto (quindi nei pressi di Tricase) e residente a Palazzo San Gervasio in prov. di Potenza ormai da 40 anni. Volevo tuttavia comunicare (e Rocco il trombettista di Tricase mio amico lo sa) che a Tricase, verso la metà degli anni ’50, forse 57-58, si è formata una banda sinfonica diretta dal M° Menotti Zippo di Miggiano che per una o due stagioni è andata anche abbastanza bene. Il giro della banda “città di Tricase” in quegli anni interessava le province della Puglia e della Calabria in particolare. Ricordo queste cose perchè io stesso ne facevo parte, suonavo il Piccolo in Mib (in quanto allievo del M° Menotti di Miggiano, avevo appena 10-11 anni. Facevano parte della banda anche due o tre tricasini: un Sax Contralto, un Corno ed una tromba in sib; e due di Depressa (un clarinetto(Pietro) ed un corno mib) purtroppo mi sfuggono i nomi. Ricordo solo che erano delle bravissime persone e mi volevano bene. Chiedo scusa se mi sono intromesso in questo argomento, spero comunque di aver dato un contributo alle notizie storiche. Se lo desidera, l’autore di queste bellissime pagine può mettersi in contatto con me. Oltre a fare il musicista mi diletto, nei ritagli di tempo, a scrivere libri. Ne ho già pubblicati 3. Il prossimo (per la Capone Editore) tratterà della Banda nella storia in senso generale, con particolare analisi sulla banda da giro (che l’ho vissuta in prima persona per circa 30 anni). Nell’attesa di sentirci Sinvio tanti saluti agli amici di Tricase.
Grazie mille per questo suo prezioso contributo!