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Alessano, Sciudei e Cimmiri

Alessano è, storicamente, uno dei topos fenomenologici e antropologici più semanticamente affollati del Salento. Curioso, intrigante, originale. Da sempre c’è una borghesia illuminata delle professioni e l’impresa (negli anni ’50 del Novecento i Torsello – il nonno di Kash rapito dai talebani nel 2007 – aprirono la fabbrica del ghiaccio e il cinema “Arcobaleno”), che tuttora, sebbene in termini relativizzati, sopravvive.

Sempre nell’altro secolo, nel secondo dopoguerra, era il punto di riferimento di tutto il Capo di Leuca. Quando la gente aveva bisogno di un avvocato andava ad Alessano. Certi paesi non ne avevano manco uno. Anche le donne erano più emancipate, avevano più libertà, erano un po’ avanti rispetto alla cultura bigotta del territorio: non uscivano con le mamme, le sorelle, i fratellini sui Corso Scipione Sangiovanni, ma sole.

Dov’è la particolarità? Nel lessico quotidiano ricco di termini pregnanti. Il primo dei quali è “fratello”. La gente si chiama così. “Fratello, prendiamo il caffè?”, “Ti posso offrire la birra, fratello?”, “Che hai una sigaretta, fratello?”.

Locuzioni d’uso quotidiano. A Corsano dicono “compare”, come a Nardò (“‘mpà!”). La differenza è lessicale, ma anche culturale. “Fratello” sà più di universalità e solidarietà, è limpido, solare; “compare” invece è sinonimo di omertà, complicità, qualcosa di oscuro, quasi d’inconfessabile. Forse è preso dal comparaggio (padrinato) detto di San Giovanni: che pare non si rifiuti mai. Compare “d’anello” (per il matrimonio), di Battesimo, Comunione, Cresima.

La gente di Alessano ha fama di essere inaffidabile, traditrice. Da qui la nomea di “Sciudèi” (Giudei). A dar conforto a tale nomignolo un elemento architettonico: il quartiere ebraico detto “della Giudecca” (nella zona della Credem, Palazzo Sangiovanni e piazzetta Oronzo Costa). E un altro racchiuso nelle pagine della Storia: quando i conquistatori che si sono avvicendati nei secoli, dal Medioevo all’Evo Moderno, passavano la mano l’uno all’altro (Normanni, Svevi, Aragonesi, Angioini, ecc.), con frequenti ritorni di fiamma, gli Alessanesi erano i più svelti nel saltare, come direbbe Ennio Flajano, sul carro del vincitore.

Ebrei, Fonte: globalist.it

Ebrei (Fonte: globalist.it)

Due modi di dire, a mò d’intercalare, sono da sempre presenti nel lessico del paese, e solo suo. Difficili da spiegare. “’O ‘ccisu!” è il primo. Lo mettono a mò di bonario rimprovero quando qualcuno ha detto, o fatto, qualcosa di poco eticamente corretto. Più intrigante il secondo: “’O cìmmuru!”. Nessuno avrebbe saputo dire da dove deriva se non fosse capitato – com’è accaduto a chi scrive questo articolo – a Trento, anni fa, a una mostra sui popoli delle steppe nell’Asia dal primo millennio a. C. al Medioevo. Tra Sciti, Peceneghi, Sàrmati, Unni, Avari, Kazhaki, ecc. c’erano anche i Cìmmeri. Popolo molto fiero, combattivo, le donne a volte andavano da sole in battaglia. Pare che non potevano sposare se prima non uccidevano un nemico. Altrimenti restavano nubili.

Ad Alessano oggi non è così, ovvio, ma i maliziosi sussurrano che le sue donne sono così edotte nelle arti erotiche e nel “Kamasutra” che un uomo lo ammazzebbero, si, ma nel letto…

C’è un collegamento filologico? E quale? Con quale dinamica è avvenuto ed è giunto a contaminare la lingua degli Alessanesi? Lo dicono anche questo a mò di rimprovero, sempre senza cattiveria, in tono scherzoso, tra il serio e il faceto. “Sciudèi” e “Cìmmiri”: la parola alla genetica per spiegarci il complesso, barocco dna della gente di Alessano, come cioè è potuto accadere che crudeltà e inaffidabilità si intrecciassero e contaminassero nel loro sangue in un grumo semantico, una fusione forse unica in Puglia.

E non solo qui, fratello… ‘O Cìmmuru!”, ridacchiano orgogliosi della loro specificità culturale, dandosi di gomito, gli Alessanesi al dolce sole autunnale come le lucertole dalla faccia di dado di Bodini in piazza don Tonino Bello. Rispondere d’istinto: ”’O ‘ccisi!” è più che scontato.

Francesco Greco


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