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Antonella Sergi, versi per aprire un varco nel tempo

“L’unico modo di aprirsi un varco attraverso il tempo è un autentico dolore”: Eichendorff. Aprire il libro di Antonella Sergi (Gagliano del Capo, 1963) e ripensare alla massima del filosofo tedesco è un fatto istintivo. Che dà alla mano che sfoglia le pagine un lieve tremore. Perché alla nota biografica apprendiamo che la poetessa combatte da tempo, con tenacia e senza requie, contro una malattia subdola, che alterna momenti di visibilità ad altri in cui si inabissa e si eclissa fra le pieghe della quotidianità.

Lei non molla, non si fa condizionare più di tanto, chiede aiuto alla poesia in questa lotta strenua affinchè prevalga la vita sulle ombre, aiutata da un marito innamorato (che quando escono i suoi libri organizza presentazioni che sono piccoli eventi affollatissimi, il che, con i tempi che corrono, e con la poesia messa ai margini, è già un fatto rilevante) e le figlie, risolute quanto la madre.

Premessa necessaria per dire al lettore che “L’immagine”, di Antonella Sergi, Edizioni Miele 2012, pp. 94, € 10 (Collana “Percorsi In Versi”, suggestiva copertina di Fabio Fiorese, “Donna allo specchio”), ha una genesi che irrora le sue radici in una sofferenza fisica, uno stato d’animo particolare, un format che cambia l’intima percezione delle cose. Lo sguardo si fa più attento, la sensibilità più acuta e coglie ciò che a noi tutti sfugge. Questa appena edita è la seconda prova (l’altra, del 2010, si intitolava “Nelle mani di Dio”). Nel frattempo la poetessa salentina ha avuto numerosi riscontri vincendo premi di rilevanza nazionale.

E dunque, la Sergi conferma la predisposizione all’autonalisi, al parlare sommesso innanzitutto a se stessa, agli altri, all’universo, ma anche la sua fisicità, al corpo che le pare di non riconoscere più. Senza alcun formalismo, senza accademia: nella maniera più diretta che si possa immaginare. Versi sofferti e crudi, che attingono alla propria biografia di donna che soffre perchè non può dare tutta se stessa nel modo che vorrebbe e che ritiene giusto nel ruolo di madre.

Fatte di parole di una purezza abbagliante, confidate a se stessa in un dialogo dilatato la cui eco si riflette su chi gli sta intorno per coltivare una speranza irrinunciabile, una forza interiore che ha la forza di un fuoco a cui vorremmo riscaldarci. Per combattere anche noi la nostra battaglia quotidiana per la luce contro le tenebre, per un’esistenza piena contro la sua vuota rappresentazione. Sulla modulazione dei sentimenti autentici, che danno all’umana avventura un senso profondo. Versi dunque come tentativo di esorcismo del male, della paura, l’angoscia, l’incertezza.    

La poesia diviene un tramite, una password che apre una condizione di solitudine in cui lei è sola con la sua malattia (“il lato oscuro della vita”, dice il sociologo Luigi Za), abbandonata da quel Dio in cui ha sempre creduto (come acutamente rileva Francesca Sergi nell’introduzione) e che da lassù ammira il suo “teatrino”. E in questo disincanto c’è un senso di smarrimento davanti al cosmo e al mistero che non può che rimandare a Leopardi (uno dei suo “maestri”, con Dante e Pascoli). “Tu mi scuti dalla testa ai piedi / ma quell’essere deforme non sono io…/ Io vivo altrove…” (L’immagine). E già nell’incipit c’è tutta la poetica di una donna che cerca nei versi un appiglio, un’àncora, poichè, come nota Silvana Serrano nel preambolo, “i sentimenti non vengono subiti, ma vissuti, diventano ricchezza”. Una ricchezza con cui si dona agli altri in un rapporto di continuo scambio da cui trae la forza per continuare a credere di potercela fare, e che è la cifra “segreta” di un libro che, privo di malizia letteraria, arriva al cuore di tutti noi. 

Francesco Greco


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