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Dalla Puglia al Sudan la storia di Fratel Michele Sergi

Afoso pomeriggio d’estate. Antonella Sergi si rifugia in cantina e fruga fra i vecchi libri riposti in un angolo. Fra le mani capita “Le mani nude del regno”, di Padre Lorenzo Gaiga (1934-2007), missionario comboniano. Racconta la parabola di tre missionari, fra cui Fratel Michele Sergi, di cui la scrittrice è pronipote. Personaggio di cui fellinianamente poco si sa e tutto si immagina, noto dalla parentela come “lo zio monaco”. Complice il Comune di Gagliano del Capo (Lecce) che decide di intitolare nuove vie a personalità che al paese hanno dato lustro, saltano fuori altri documenti conservati dai parenti, fra cui Francesco “Ciccio” Sergi, che li consegna al marito di Antonella, Salvatore “Totò” Sergi, consigliere di Italia dei Valori.

Appena si sparge voce che ha deciso di indagare la vita del religioso per una monografia, ecco d’incanto apparire altre carte, lettere, documenti, ecc. E’ il background di “Per non dimenticarti” (Storia di Fratel Michele Sergi, un fratello missionario comboniano in Africa), di Antonella Sergi, Edizioni Miele, 2013, pp. 80, € 15, prefazione di Padre Gino Buccarello, Ministro Provinciale dei Padri Trinitari. Pagina dopo pagina, in un libro che ha più chiavi di lettura: storica, etica, sociologica, spirituale, ecc. – la saggista ci porta sulle orme del missionario e fa emergere lo spaccato di un mondo lontano – Fratel Michele visse e operò in Sudan – segnato dal passaggio e l’operosità generosa, senza se e senza ma, di uomini come questo monaco, “insegnante del’arte di vivere” (Francesca Sergi) di cui si erano perse le tracce ma finalmente recuperato alla memoria popolare della Puglia che ne va giustamente orgogliosa.

Figlio di Angela e Silvestro, sesto di nove figli, Michele nacque a Gagliano il 12 aprile del 1910 in una famiglia contadina, che viveva del lavoro nei campi in un Sud rurale, povero di tutto, dall’economia autarchica. Un segno accaduto mentre la madre è incinta dà alla biografia un elemento da decodificare sotto la voce “predestinato”. Il padre fa un sogno, San Michele Arcangelo (patrono della vicina Castrignano gli dice: “…il pargolo che nascerà sarà un maschio e tu gli dovrai dare il nome di Michele… opererà grandi cose in nome di Dio”.

Nel mondo contadino non c’era tempo né risorse per gli studi: bisognava procurarsi il pane appena le braccia si facevano forti. E’ anche la sorte del piccolo Michele, che portava le pecore al pascolo e dava una mano nel lavoro della terra. Imparò a scrivere il suo nome alle scuole serali. Fu mandato a lavorare da un proprietario terriero: non ci restò per molto, si rivelò un bestemmiatore incallito, tanto che il bambino se ne tornò a casa. Un altro segno che suggeriva quale sarebbe stata la sua vocazione.

Che si svela quando nel 1929 in paese giunge Padre Bernardo Sartori (1897-1983), “propagandista” col compito di insediare e sviluppare la prima comunità comboniana (Padre Davide Comboni, 1831-1881, canonizzato da Giovanni Paolo II il 5 ottobre 1983) nel Mezzogiorno italiano. Il religioso, passato da città e paesi di tutta la Puglia, è preceduto dalla fama di gran predicatore, trascinatore di folle, “infervorava gli animi”, è in odore di santità: malato di tubercolosi, si è rivolto alla Madonna che lo ha guarito. Si sdebita intitolandole il “Santuario della Madonna di tutte le Grazie” a Troia (Foggia).

A Gagliano “la gente lo ascoltò estasiata… il giovane Michele ne rimase affascinato”. Padre Bernardo invitò i giovani a seguire l’esempio degli apostoli per diffondere il Vangelo, specie in Africa. Chiarì meglio che per diventare missionari, costruire chiese e scuole e lavorare la terra, non si doveva per forza essere sacerdoti. Come se avesse parlato proprio a lui, timidamente Michele si avvicinò per chiedere lumi. Dalla chiesa passarono alla sua casa per informare i genitori dell’intenzione. Non si opposero, vedevano negli eventi la concretizzazione del sogno che il padre aveva fatto tanti anni prima.

Fratel Michele fu “vestito” il 20 aprile 1930 (lo stesso anno in cui anche la sorella Santa avrà la vocazione: cambierà nome in Suor Adriana, vivrà, dopo Bari, Rimini e Milano, alla Casa delle Opere Antoniane di Cutrofiano, Lecce: insegnò alle scuole materne, studiò il pianoforte e si dedicò al ricamo come aveva imparato da piccola; si ritirò nella Casa di riposo dell’Ordine, a Noci, Bari, vi morì nel 1994).

Il missionario si imbarcò per l’Africa nel dicembre 1936. Allo scoppio della guerra fu costretto per 4 anni in un Convento di Francescani in Egitto: ne approfittò per imparare l’arabo (poi assimilò anche i dialetti locali africani: nuer, denka, nuba, barie, scilluk). Nel 1949 giunse nel Sudan, a Khartoum (50mila abitanti): doveva rimettere su il Comboni College, una scuola costruita vent’anni prima. Nel 1951 comincia a costruire le Scuole Primarie. La sua vita scorre nel segno del rispetto per tutte le componenti religiose, fra evangelizzazione, alfabetizzazione, spirito di fratellanza, di tolleranza, aiuto concreto agli sfollati, i perseguitati (il Sudan vive perennemente sospeso nelle guerre tribali).

Costruì anche un campo di basket e di volley trasformando in falegnami, muratori, idraulici, ragazzi che non sapevano fare nulla. Morì il 30 novembre 1988. Tuttora è amatissimo in Sudan. E forse sarebbe ora che si pensasse alla canonizzazione. Questo libro prezioso, incalzante, a tratti emozionante, è il primo passo.

Francesco Greco


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