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La chiesa della Madonna di Vereto

Siamo sul punto più alto della collina di Vereto, l’antica città di Hyrie, probabilmente la prima fondata dai Messapi, sventuratamente giunti sulle coste salentine, trascinati da una tempesta, mentre cercavano di recarsi in Sicilia. Secondo il racconto di Erodoto del V sec. a.C. costoro erano di origini Cretesi,  in poco tempo fondarono diverse città raggiungendo un livello amministrativo e culturale senza eguali nel promontorio japigio.

Da quella che a prima vista poteva sembrare una terribile tragedia, nacque in realtà una grande civiltà. Hyrie si dotò di possenti mura, ancora oggi parzialmente visibili, e di un porto nella marina di San Gregorio. Sopravviverà per oltre un millennio alla fine del popolo che gli diede vita, per cadere nella battaglia di Campo Rè (che ancora fa tanto fa discutere gli storici) che vide come antagonisti sul campo  due fedi contrapposte. Indipendentemente dall’esito della battaglia e della fazione vicente il destino di Vereto ormai era stato scritto, sarebbe stata distrutta.

Ma da quella collina, dall’acropoli di quella grandiosa città, un piccolo luogo di culto rimaneggiato e ricostruito più volte sulla fondamenta degli edifici che l’hanno preceduto, è rimasto a guardare il destino dei fedeli che, quotidianamente, vi si avvicinavano per professare il proprio culto religioso. Con il tempo avrà cambiato nome e credo ma, al momento, è conosciuto come Chiesa della Madonna Assunta, o più comunemente Chiesa della Madonna di Vereto.

Meta di pellegrinaggio in occasione dei festeggiamenti Mariani all’alba di ferragosto e, secondo alcuni, fonte di ispirazione per alcune delle composizioni di Vinicio Capossela, che da Patù ha ottenuto la cittadinanza onoraria, questa piccola chiesetta sembra custodire un piccolo mistero legato ad un figura emblematica della Cristianità: San Paolo e la sua associazione al fenomeno del tarantismo.

L’affresco venne rinvenuto in un incasso del muro laterale, alla destra dell’ingresso, durante alcuni restauri effettuati nel 1954. Il Santo regge una spada intorno alla quale è attorcigliato un serpente, mentre ai suoi piedi se ne manifesta un altro accompagnato da uno scorpione e, poco più in alto, altri due intrecciati come a formare un caduceo, il bastone di Hermes, successivamente accostato anche a quello di Esculapio, il semidio in grado di riportare in vita gli uomini dall’Ade.

Un indubbio riferimento all’episodio che lega San Paolo a Malta, dove venne morso da un serpente senza che il suo veleno provocasse alcun danno, e che gli valse il titolo di protettore dal morso di animali velenosi e, di conseguenza, patrono delle tarantate.

L’affresco seicentesco, studiato da Sergio Torsello che lo descrive in un’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno del 3 Dicembre 2010, fa parte di un ciclo agiografico più ampio di cui rimangono ormai flebili tracce. Non sono presenti raffigurazioni analoghe in nessun altra parte del Salento, anche se la scelta stilistica potrebbe essere dettata da richiami a elementi tipici del mondo rupestre in cui la chiesa è sita.

L’edificio attuale venne costruito agli inizi del ‘600 su commissione del principe Zunica, signore di Alessano. Non presenta arredi se non un piccolo altare di recente fattura ed una piccola panchina. Per lungo tempo è stata  proprietà privata, per essere infine donata al comune di Patù il 30 Luglio del 2010.

Secondo una leggenda popolare, il monumento funebre delle cento pietre sarebbe stato costruito utilizzando dei massi ciclopici portati a valle sul capo, proprio da qui, dalla collina di Vereto, da donne indigene intente a lavorare a maglia. Una immagine davvero molto particolare.

Marco Piccinni


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