I Messapi
Messapi. Un antico popolo che recentemente sembra essere stato riscoperto anche dalla stampa e dalla televisione nazionale, che abitava un tempo l’estrema propaggine del territorio salentino, dal Capo di Leuca fino al sopraggiungere delle prime murge.
Per tutti furono conosciuti come il popolo tra i mari, erano onorati e rispettati. La loro cultura e organizzazione socio-politica non aveva niente da invidiare ad altri popoli più blasonati. Ci hanno lasciato città, necropoli, templi, ma quello che in fondo sappiano sul loro conto è davvero molto poco, come poche sono le testimonianze pervenuteci dai racconti e dai testi di Tucicide, Nicando di Colofone, Strabone, Floro, Virgilio, Ateneo ed Erodoto. Proprio a quest’ultimo si deve un indizio sulle possibili origini di questo popolo, proveniente da Creta e di ritorno da un missione incompiuta in Sicilia, quando una violenta tempesta li sospinse fino alle coste salentine, distruggendo le navi e rendendo impossibile ogni ritorno a casa. Qui fondarono una città, Hyrie (Vereto), la prima di una lunga serie (Muro Leccese, Vaste, Valesio, Alezio, Cavallino, Rudiae, Castro, Soleto, Ugento, Otranto, Ceglie Messapica, Manduria, Oria, Brindisi, Carovigno, Egnazia, Nardò, Muro Tenente, Montesardo). Non saranno più cretesi, ma japigi-messapi. Siamo intorno all’VIII secolo a.C.
Le città, alcune basate su un economia agricolo-pastorale e altre mercantile, venivano innalzate solitamente in prossimità di alture e zone collinose (per conoscere poi una fase di espansione e fortificazione intorno al V-III sec. a.C.), non distanti dal mare, lungo il quale realizzarono dei porti dove coltivare fiorenti attività commerciali. Alcuni dei toponimi originali di queste città sono andati perduti, altri sono stati ritrovati (ed altri confermati) su un piccolo coccio, il 21 Agosto 2003, dall’archeologo belga Thierry van Compernolle, che all’interno di uno scavo in un antico edificio messapico a Soleto riporta alla luce un frammento di quella che sarà ben presto conosciuta come la più antica mappa scritta del mondo occidentale: la mappa di Soleto, V sec. a.C.. Le ottime vie di comunicazione dell’entroterra (come la via Sallentina e la “rinominata” Traiano-Calabra) verranno ereditate e ampliate dai romani, che le utilizzeranno per i loro spostamenti nel territorio salentino, concentrando gli sforzi principalmente intorno al brindisino, ritenuto il principale ponte di comunicazione con l’oriente. Notevoli sono le testimonianze archeologiche in quest’ambito: il museo diffuso di Cavallino, la necropoli di Monte d’Elia di Alezio e quella in località Sant’Antonio ad Ugento, il parco dei guerrieri di Vaste, località Cunella di Muro Leccese e molti altri.
La loro evoluzione, avviata da una genesi mescolata con ingredienti pseudo mitici che coinvolgono anche figure come Dedalo, Minosse, Teseo ed Idomeno, sarà caratterizzata da scontri e rivalità che seguirono, similmente, gli stessi schemi dell’eterna lotta tra Atene e Sparta. La prima, strinse rapporti di amicizia e alleanze politico militari con il dinasta messapico Artas; gli abitanti della seconda invece, fondarono nella Messapia una piccola colonia nel 705 a.C., destinata a divenire una grande città: Taranto. Ed è proprio contro Taranto che i Messapi dimostreranno il proprio valore militare, la propria tenacia e resistenza. Si conteranno vittorie e sconfitte da ambo gli schieramenti. Solo Roma riuscirà a piegare definitivamente questo popolo, nel 267-266 a.C. ma sarà soltanto una sconfitta formale, dato che manterrà ancora per molto tempo i propri usi e costumi senza perdere occasione di ribellarsi all’Urbe, come nell’appoggio alla campagna di Annibale nel 218 a.C.
La cultura messapica fu pesantemente influenzata da quella greca, con la quale manterrà rapporti continui, sia commerciali che migratori, non privi di conflitti, principalmente di natura economica. Faranno proprie le divinità, le arti, la cucina. Edificheranno templi. Incideranno tributi e preghiere votive all’interno di grotte e caverne: la più famosa la grotta Porcinara di punta Ristola (a Santa Maria di Leuca), un vero e proprio luogo di culto dedicato al dio Batas, divinità maschile che impugna la folgore, protettore di marinai e naviganti. Simboli che richiamano somiglianze con l’alfabeto della scrittura tarantina, che i Messapi correggeranno inserendo alcuni caratteri per rappresentare graficamente i loro fonemi tipici, come il tridente rettangolare. Scrittura di cui conserviamo ancora varie testimonianze a partire dal VI secolo a.C. divenendo via via estremamente ricorrente nei contesti funerari, nelle cui iscrizioni emergeranno rapporti di “appartenenza” alla casta sacerdotale o ad un gruppo famigliare, sia di parentela, che di schiavitù. Famiglia, che rimaneva unità anche nella morte, mediante l’utilizzo di sepolture multiple che prevedevano spesso l’inumazione di un estinto nella tomba in cui era già stato deposto un suo avo, disarticolato e posto ai margini della sepoltura o all’interno di un ossario nelle immediate vicinanze.
Dalla tipologia (a fossa, a semicamera e a camera), dagli arredi ed eventuali affreschi delle tombe si può risalire alla classe sociale di appartenenza dell’inumato. Sepolture che potevano trovarsi indistintamente all’interno del tessuto urbano, nelle abitazioni private, in prossimità della cinta muraria, o in apposite aree cimiteriali.
Una civiltà che rivive nelle figure rosse a sfondo nero degli innumerevoli vasi ritrovati in vari contesti, dove menadi danzanti si prendono gioco dei satiri che cercano di sedurle; dove scene di battaglia e di intrattenimento musicale sembrano ricoprire lo stesso importante ruolo; dove esseri mitologici e creature alate si mescolano a uomini e donne; dove il confine tra divino e terreno sembrava quasi non esistere. Il dio si mescolava all’uomo e prendeva forma nei luoghi di culto a sè dedicati, dove ancora aspetta, paziente.
Marco Piccinni
Eccellente articolo, chiaro e conciso. fotografie meravigliose.
Grazie