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La via del tabacco nel Salento del Novecento

Cara mujere ti friccio e sabbione ca quist’annu le rolle sono piccalissime. Quannu vini porta tre mbrilli”. (Traduzione: Cara moglie ti faccio sapere che quest’anno i semenzai sono piccolissimi. Quando vieni porta tre ombrelli).

Difficile non pensare alle pagine immortali di Erskine Caldwell del possente “La via del tabacco” (1932), romanzo che piacque a Faulkner e Fernando Pivano, da cui Jhon Ford trasse un film (1941) e Luchino Visconti uno spettacolo teatrale (1945). Dove i Lester cercano di sopravvivere alla fame della Grande Depressione coltivando appunto il tabacco.

Si facevano anche le gare, a chi infilava il tabacco più velocemente… Mio nonno diceva che il giorno della Madonna Assunta ci avrebbe dato 10 lire per ogni corda…”.

Cos’è mai il Sud se non un’entità metafisica, dalla percezione soggettiva? Perché all’interno dei suoi confini ce n’è sempre un altro. Nel Sud povero ce n’è un altro ancora più povero. Nel Novecento contadino prima e dopo la seconda guerra, c’era chi poteva pagarsi un biglietto per emigrare in Europa e chi aveva famiglia numerosa a carico e forse gliene mancavano i mezzi.

Erano gli stessi concessionari, o i proprietari dei fondi da coltivare a fornire la semente…”.

La memoria popolare data la coltivazione dei tabacchi levantini già durante il fascismo, quando c’erano le quote, cioè ti assegnavano la superficie da piantumare e se da un controllo risultava maggiore il contadino doveva sradicare le pantine. All’epoca le famiglie partivano all’alba con lo scelabbà carico di figlie e masserizie. Nel dopoguerra spuntarono le Fiat Millecento famigliari.

La prima fase iniziava con la partenza, nei mesi di febbraio-marzo, degli uomini con i figli maschi che avrebbero provveduto alla preparazione del terreno e alla semina delle ruddhre”.

L’epopea del tabacco è magistralmente ricostruita in tutti i suoi passaggi da Concettina Chiarello e Vito Chiarello (con un cammeo dell’attore-regista Ippolito Chiarello “Fumo”, Storia di un bambino tabacchino) in “Corsano nelle terre del tabacco” (1950-1980), Bleve Editore, Corsano 2022, pp. 144, s.i.p., cover di Vito Bleve. Pubblicazione patrocinata dal Comune oltre che la Parrocchia di Santa Sofia, don William Del Vecchio, Salvo Bleve presidente della Pro Loco e sostenuta da aziende del territorio: Cazzato & D’Amico, De Giorgi, Isolf, Beman, Calzificio Lord, Tessitura Calabrese, De Giovanni Costruttori, Biasco Strade, Marmi Bleve, Intrecci by Bisaf).

La sala mensa, il nido… e la presenza di servizi ricreativi la rendevano decisamente diversa…”.

Il Sud più sud nello specifico è il sud Salento e l’America per le sue famiglie l’Arneo (Nord Salento), il Tarantino, il Barese, il Metapontino, ma anche il Molise dove il latifondo resisteva alla parcellizzazione e le masserie ospitavano le famiglie con contratti a mezzadria.

Tutto ciò fin quando le piante non avevano raggiunto l’altezza di 10-15 centimetri…”.

Successivamente la famiglia si ricongiungeva (aprile) e inziava la piantumazione. La raccolta avveniva nelle ore fresche dell’alba, spesso sotto la luna, finché non arrivava il caldo. Dopo di che il tabacco raccolto si infilava, si essicava, si lavorava nei magazzini dei concessionari.

Durante la giornata, io che ero ancora un bambino, non è che lavorassi tantissimo, anche se mi impuntavo e chiedevo ai grandi di chiamarmi la mattina presto…”.

Alle famiglie povere si aprì dunque questo orizzonte luminoso. Con i proventi le ragazze avevano la dote, i maschi compravano il suo edificatorio per costruire la casa.

Le cisure del Sud Salento, veri e propri fazzoletti di terra, non erano adatte a tale piantagione; facevano eccezione i possedimenti dei proprietari terrieri…”.

Corsano dunque si eleva a topos, un grumo semanticamente affollato: quel che avveniva infatti qui era comune a tutti i paesi del “Capo”. Molte famiglie restavano in quelle zone, i figli mettevano su famiglia.

Con la mano sinistra si reggeva il grosso e lungo ago, 40-45 centimetri, e con la destra si prendevano singolarmente le foglie…”.

Il libro si regge su un ricco corredo fotografico d’epoca. Ci dice sotto l’aspetto sociologico, antropologico, economico “Come eravamo” e di come stiamo velocemente ritornando a forza di globalizzare, ma non ce ne accorgiamo, storditi dalla propaganda, le fake news e la finta libertà che ci viene dal telecomando, che ci fanno vivere nella trance di un mondo distopico, guarda caso, quello vagheggiato da Orwell. Contenti noi…

Francesco Greco


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