Divagazioni di un “Cucuzzaro” della Terra di Tricase
Ho qui raccolto, più per semplice diletto che per interesse scientifico, una serie di notizie sulla zucca e sulle zucchine. L’interesse per questo tipo di pianta e del suo caratteristico frutto nasce dal fatto che i Tricasini hanno la nomea o soprannome di “Cucuzzari” ed anche dal fatto che se c’è una pianta che non sia mai stata tenuta in eccessiva considerazione dall’uomo, questa è certamente la zucca, simbolo ora di ottusità, o forse meglio di refrattarietà a qualsiasi apprendimento, ora di vuotezza mentale. Comunemente il termine di paragone e di confronto in senso figurativo è la testa di una persona e, spesso, le espressioni più usate sono: “non ha sale in zucca”, “è una zucca vuota”, oppure “ha una zucca pelata”, etc. Eppure, oltre al suo valore alimentare, essa è capace di assumere coi suoi frutti forme tanto estrose, che molti arredatori hanno scoperto nella medesima anche un non trascurabile valore ornamentale.
L’origine delle zucche
Perfino per quanto concerne la loro origine, le zucche continuano ad essere elemento di discussione. I ricercatori di tendenza filologica citano passi di antichi autori, Callimaco, Virgilio, Aristotele, per dimostrare che le zucche erano note nell’antichità, e quindi sono di origine asiatica o africana; ma i botanici americani, fondandosi su argomenti floreali, affermano che le zucche sono americane e precisamente la Cucurbita maxima del Brasile e la Cucurbita pepo del Messico.
Gli autori classici, per la verità, non si sa mai quel che vogliono dire; si veda l’apposito capitolo nel famoso libro del filologo Hehn e si noterà come coi più vari nomi siano indicate cucurbitacee che possono essere piuttosto meloni, cocomeri, cetrioli, non zucche. Meloni e cetrioli erano quelli rimpiantati dagli Ebrei nel Libro IV di Mosè; o al massimo si trattava della zucca da pellegrino che era nota ai Cinesi un secolo prima di Cristo e poi diffusissima in Asia e in Africa.
La famiglia delle Cucurbitacee
Le Cucurbitacee comprendono circa 100 generi e 850 specie; sono piante annuali, rampicanti o prostate, raramente perenni, diffuse in tutto il mondo, in prevalenza nelle regioni calde.
In Italia sono presenti 6 generi e 13 specie. Ricordiamo, tra le forme più note, le Zucche, il Cetriolo, il Melone ed il Cocomero, largamente coltivate.
Tra le specie più comunemente coltivate di zucche ricordiamo le seguenti:
- Cucùrbita pepo (la zucca comune): foglie più o meno divise in lobi acuti, ispide per peli rigidi, peduncolo fruttifero angoloso;
- Cucùrbita maxima (la zucca a frutto grosso): foglie poco o punto lobate, molto meno ruvide al tatto, peduncoli fruttiferi non angolosi;
- Cucùrbita moschata (la zucca popone): foglie lisce, lobate, con angoli acuti, spesso maculate di bianco, frutto con peduncolo scanalato, odorante di muschio;
- Cucùrbita ficifolia (Cucurbita melanosperna) frutti a carne bianca, con semi neri.
Della Cucùrbita pepo e della Cucùrbita maxima vi sono numerosissime varietà orticole elencate nei cataloghi senza distinzione della specie e vi sono varietà con nome botanico regolare. Diversissima la conformazione, il colore, che va dall’arancio al giallo, al verde puro e screziato di bianco, e diversa la superficie; ma questi caratteri singoli si combinano fra loro in modo inestricabile.
La zucca da pellegrino
Molto vicina alle vere zucche è la Zucca da pellegrino o Lagenaria siceraria (Lagenaria vulgaris) che non si mangia, ma si usava da tempo immemorabile, come ancor si usa da popoli semiselvaggi col nome francese di “calebasse” per farne recipienti, bottiglie, borracce, fiaschette da polvere. Una volta chi abbracciava la professione di pellegrino vestiva il saio, impugnava il bordone e vi appendeva una zucca piena di acqua per ristoro nel lungo andare. Infatti il pericarpo di questa zucca è ligneo, sottile, e il frutto forato, seccato e vuotato del contenuto interno diventa bottiglia. E’ una pianta rampicante come le zucche, ma i fiori sono rotati e bianchi con lobi corollini un po’ frangiati.
Tra le varietà ricordiamo la gourda, con frutto oblungo, strozzato; la cogourda, con frutto sferoidale a lungo collo; la sipho, a collo piegato a storta; la clavata, a forma di clava; la turbinata o pyrotheca, conica; la depressa, a frutto rotondo, schiacciato; la longissima, a frutto serpentino.
La coltura delle zucche
La zucca è una coltura abbastanza rustica e poco esigente in fatto di terreno; tuttavia ha rese più elevate nei suoli profondi e freschi; il clima deve essere caldo. La coltivazione si effettua di norma solo all’aperto; essa ha inizio con la semina durante il bimestre marzo-aprile, deponendo alcuni semi in buche, sul cui fondo precedentemente sia stato deposto letame e concime fosfatico. Occorre poi fare un diradamento delle piantine a 3, 4 foglioline, in modo che in ogni buca rimanga un individuo soltanto. Le successive cure colturali sono analoghe a quelle adottate per lo zucchino, eccetto la raccolta che viene fatta – nel caso della zucca – a completa maturazione dei frutti.
Tricasini o “Cucuzzari”
I Tricasini non lo hanno mai nascosto né hanno ritenuto di farsene un cruccio. Il soprannome “Cucuzzari”, con cui tutto il Salento li riconosce, per loro, ed a ragione, ha la dignità dell’appellativo che affonda le sue radici nella storia di un popolo e non l’aridità dell’invettiva che può essere strumentalizzata nei momenti meno dignitosi.
Il termine “Cucuzzari” è nato, presumibilmente, a partire dalla fine del XVII secolo, allorquando l’economia tricasina prese, con decisione e con tendenza alla settorializzazione, l’indirizzo agricolo. Fino al 1649 infatti aveva prosperato a Tricase un’industria, quella della concia delle pelli, l’unica di tanta portata nella storia tricasina, che tra il 1400 e il 1600 in particolare qualificò Tricase come porto di importanti commerci di pelli, conciate utilizzando il tannino estratto dalle cupole delle querce della specie Vallonea (volgarmente dette anche Falamide o Falanide) con calce, solfuro ed acido solforico. E per più di due secoli i Tricasini erano stati soprannominati “Pelacane o Pelacanj”, probabilmente dal greco ‘pelacao’ che indica ‘lo scarnificare’ le pelli.
Dal 1649, quando il porto di Tricase fu chiuso al traffico marittimo dal vicerè Conte d’Ognatte per pericolo di contrabbando (così si disse all’epoca), insieme a quelli di Porto Cesareo ed Ostuni, cominciò il lento declino dell’arte della concia a Tricase e prese a svilupparsi l’agricoltura nel settore degli ortaggi.
Tra questi, le zucchine (“cucuzze” in dialetto), in particolare come primizie vendute in marzo ed aprile, rendevano qualcosa anche sul mercato di allora. Un mercato che interessava parecchie comunità del Salento; i Tricasini cominciarono quindi ad essere indicati col termine “Cucuzzari” per un tipo di coltura che ancora oggi caratterizza l’agricoltura del luogo pur non avendo più l’esclusiva delle primizie.
Per molti lustri infatti i giardini assolati di Tricase Porto e degli otto chilometri della fascia costiera, hanno offerto le condizioni climatiche ideali e l’abbondante acqua richiesta per la coltura delle zucchine e la loro maturazione già in marzo-aprile. Oggi le tecniche agricole fanno maturare quegli ortaggi quasi in ogni stagione ma i Tricasini continuano a proporre ed imporre il loro prodotto con le credenziali del “è robba paesana, crisciuta senza medicine (sono prodotti paesani, coltivati senza medicine)” riferendosi agli additivi chimici.
“Cucuzzari” per vocazione agricola, dunque, dopo i trascorsi da “pelacane” o “disciti niviri”, come anche chiamarono in altri tempi i Tricasini, per avere le dita nere conciando le pelli.
Oggi l’agricoltura è stata pressoché rinnegata ed avanza imperterrito il terziario, a Tricase come altrove. Ma non varrà certo un nuovo soprannome. Anche la logica massificante del “villaggio globale” è un prezzo del progresso. Restano i soprannomi, vanto della storia.
“Cucuzzella”, la maschera dei Tricasini
Chi ricorda “Pascalina Pinta“? Chi era? Una vecchietta dolcissima e nera, come il carbone che vendeva. La si poteva trovare in piazza “Trave”, a qualsiasi ora del giorno. Sedeva quasi ieratica su una sedia impagliata e scrutava i passanti ad indovinare se venissero da lei. I ragazzi la conoscevano perché vendeva anche le noci. Sulle strade poco trafficate, specialmente i vicoli, poggiavano in piedi le noci su un segmento di terra. Tra una noce e l’altra potevi anche trovare dei soldini che rappresentavano la posta di chi non aveva noci da impegnare. A seconda della conta i ragazzi si accingevano (scagliando la “paddha”, una noce più grande e più dura delle altre), fruendo a vicenda di un tiro balistico, a far crollare quel muro di noci che dovevano uscire interamente dal segmento di terra per diventare proprietà del tiratore. Un gioco appassionante, molto vicino alla rissa chiassosa, fatto da ragazzi semplici e buoni, prontissimi ad ascoltare i consigli dei grandi ai quali riconoscevano grande influenza.
Ma la “Pascalina”? Si fu lei a dirmi (Oronzo Russo, n. d. c.), durante un carnevale, mentre compravo le noci, del racconto che le fece un giorno sua nonna che a sua volta l’aveva ascoltato dalla sua. Durante una scorreria dei pirati nelle campagne di Tricase (da queste parti erano soliti sbarcare pirati illirici – quasi tutti zingari – e musulmani, che seminavano terrore e morte) i giovani fremevano nei nascondigli. Volevano prendere le vanghe e vendere cara la pelle, non foss’altro per liberare quei giovani e quelle giovanette che avevano fatto prigionieri per venderli sui mercati d’Oriente. Un certo Giovanni, un vegliardo di quasi 90 anni, impose il suo carisma per frenare i bollenti spiriti dei più giovani. Sapeva il vegliardo che i pirati, in genere, erano superstiziosi e credevano che nel Salento ci fossero gli spiriti. L’idea gli era venuta in mente perché altri pirati erano scappati davanti agli spaventapasseri disseminati nelle campagne. Pensò di farne vedere uno vivo, che camminasse e facesse rumore. Con grande coraggio mise in testa una zucca, di quelle grandi che di solito i contadini mangiano condendola con olive nere (un piatto succulento che ora non si usa più ma che sarebbe bene rinverdire).
La zucca aveva dei buchi sul davanti a rappresentare bocca, naso ed occhi. In testa aveva un grande foro sul capo, adeguatamente protetto, e un cero acceso. Il resto del corpo era coperto di filamenti di paglia. Orribile. Specialmente se accompagnato da un lugubre suono di tamburo scandito sui cinque colpi ed una grande nenia che sta tra il grido della prefica ed il lamento dei parenti per un morto.
Giovanni arrivò sulla parte più alta prospiciente il porto alle prime ombre della sera. I giovani Tricasini erano stesi a terra, legati l’uno all’altro e pronti per essere imbarcati sui natanti. Non appena Giovanni, cioè Cucuzzella, apparve alla vista dei pirati, questi furono presi da un tale panico che li fece montare sulle scialuppe e prendere il largo. I giovani furono subito liberati e tutti tornarono velocemente indietro a rifugiarsi nei nascondigli. La maschera fu chiamata “Cucuzzella” e per molti anni apparve nelle feste di ringraziamento del popolo tricasino. Poi ne perdettero la memoria. Mi spiace che ora voi ragazzi non riusciate a divertirvi a carnevale – disse Pascalina – ma perché non rinnovate Cuzuzzella?
Confidai il racconto della vecchia ai compagni che non stettero neppure a sentirmi. E Cucuzzella rimase solo nella mia mente, così come è rimasta la figura di Pasqualina Pinta, una vecchia dolcissima che vendeva carbone e… noci per ragazzi educati.
Tradizioni popolari
La “cucuzza” (da cucuzza, cioè zucchina) rientra anche in alcuni modi di dire che fanno riferimento a Tricase. “I samenti de chira cucuzza” (I semi di quella zucchina) ad esempio indica gli uomini di Tricase distintisi per opere dell’intelletto come Giuseppe Pisanelli, Alfredo e Giuseppe Codacci-Pisanelli, Vito Raeli, Ferdinando Maria Orlandi, Luigi Ratiglia ed altri.
Ed ancora “Quannu se scarfa la cucuzza” (Quando si scalda la zucchina) indica il carattere dei tricasini, tranquillo e paziente fino a che “non se scarfa la cucuzza” per poi reagire con decisione. Il riferimento storico è alle sollevazioni popolari che Tricase ha vissuto all’incirca in ogni secolo dell’ultima metà del secondo millennio.
Quannu (se, sicunnu) cucuzza canta (o se scarfa) (Quando la zucchina canta o si scalda) Espressione in uso a Tricase i cui abitanti hanno la nciurita il soprannome cucuzzari. Nell’antichità questo detto ha avuto molti significati. Uno è certamente quello che invita gli altri a pensare che quando la cucuzza non ne può più sarà bene guardarsi dalla sua reazione. Ed è propriamente il riferimento a se scarfa. Il canta, invece, ha altri significati. Quando è accompagnato da sicunnu ha il significato “da quel che si dice in giro, questo fatto dovrebbe significare…”. Quando, invece, è accompagnato da “se” introduce la bollatura nei confronti di qualcuno del quale si sparla. Ad esempio: “Se la cucuzza (cioè la gente) dice che i fatti sono andati in questo modo è inutile star li a negare”. Una sorta di “vox populi” che la dice lunga sulla conoscenza della vita da parte dei contadini.
Cucuzza tira e tuzza, ma se nu lla cconzi bbona, nu tira, nu tuzza, nu canta e nu ssona (La zucca tira e batte, ma se non la condisci bene non tira, non batte, non canta e non suona). Anche questo è un proverbio tipicamente tricasino. Gli abitanti di Tricase sono da alcuni secoli chiamati “Cucuzzari” per via della zucchina che vi è sempre stata coltivata. La zucchina era ritenuta parte integrante di una mensa povera.
La cucuzza votala comu voi, ma sempre cucuzza ei (La zucchina la puoi girare come vuoi, rimane sempre quella di prima). La zucca, per quanti sforzi tu faccia, rimane sempre zucca. Il riferimento, ovviamente, è nei confronti di quella persona testarda ed ignorante che non accetta consigli da parte di nessuno.
Una vocazione agricola, quella della coltivazione della zucca, col conseguente appellativo, che non ha risparmiato neanche alcuni rioni di Tricase, una volta frazioni, immortalati, per così dire, in una filastrocca nota ancora oggi:
“A Tutinu i paparussi/ a S. Eufemia ‘e maranciane/ a Caprarica ‘i cistareddi/ a Tricase i cucuzzeddi” (A Tutino i peperoni, a S. Eufemia le melanzane, a Caprarica del Capo i falchetti, a Tricase le zucchine).
Facile dedurre che nel rione di Tutino si coltivassero prevalentemente peperoni (ed alcune famiglie portano ancora il soprannome “paparussi”) ed a S. Eufemia le melanzane, come accade anche ai nostri tempi. Il rione Caprarica del Capo era invece noto per i suoi falchetti (“cistareddi”) che nidificavano sulle mura del castello, mentre per Tricase riecco la “cucuzza”, la zucchina, che ha caratterizzato un’epoca.
La zucca in cucina
Dall’antipasto al dolce, di zucca si può riempire un intero menù. Ed ogni piatto sarà gustoso e soprattutto salutare. Perché la zucca è un ortaggio dalle mille virtù.
La polpa di zucca è ipocalorica (15 calorie ogni 100 grammi) grazie alla presenza al suo interno di un’alta concentrazione di acqua (94%) e una bassissima percentuale di zuccheri semplici.
Come ogni ortaggio e ogni frutto di colore giallo-arancione, la zucca è particolarmente ricca di vitamine A, di minerali quali il potassio, il calcio e il fosforo e di molte altre fibre. Contiene, inoltre, tanta vitamina C e betacarotene.
Ecco le proprietà nutrizionali della zucca, riferite a 100 grammi di prodotto.
Proprietà nutrizionali Quantità (100 grammi di zucca)
Proteine totali 0,60 gr
Lipidi totali assenti
Glucidi totali 3,40 gr
Amido 0,70 gr
Glicidi solidi 2,70 gr
Energia 15,00 kcal
Fibra alimentare 1,30 gr
Colesterolo assente
Calcio 20,00 mg
Ferro 0,90 mg
Sodio 1,00 mg
Potassio 202,00 mg
Fosforo 40,00 mg
Vitamina B1 0,03 mg
Vitamina B2 0,02 mg
Vitamina A 599,00 mg
Vitamina PP 0,50 mg
Vitamina 9,00 mg.
Gli antipasti
Bruschetta con zucca e cipolle
Carpaccio di zucca
Crocchette di zucca e grana
Muffin di zucca
Polpette di zucchine
Primi piatti
Carbonara alle zucchine
Gnocchi di zucca con burro fuso profumato di salvia
Lasagna di zucca
Rigatoni alla crema di zucca con zafferano e pancetta
Zuppa di zucca
Risotto alla zucca
Sformato di riso in salsa di zucca
Zucchine bollite con erbe aromatiche
Zucchine in carpaccio
Zucchine grigliate
Zucchine trifolate
Secondi piatti
Involtini di spigola e melanzane con salsa di fiori di zucca
Pollo alla zucca
Scaloppine con cipolle e zucca
Gamberi in crema di zucca
Il pane
Crepes con zucchine e taleggio
Flon alla zucca con fonduta
Sformato di zucchine
Pizza con patate e fiori di zucca
I contorni
Zucchine ripiene
Zucca con olive
I dolci
Budino di zucca
Gelato di zucca
Palline di zucca fritte
Torta di zucca e cioccolato
Tortino con zucchine, tonno e ricotta
Torta salata con fiori di zucca
Halloween e le zucche
Halloween è tra i più antichi riti celebrativi la cui origine risale alla notte dei tempi. La sua crescente popolarità anche in Italia, deriva dalla tradizione americana nella quale la notte di Halloween è la notte dei travestimenti e del famoso “Trick or Treat” (scherzetto o dolcetto). Infatti, i bambini travestiti con maschere e costumi “mostruosi e terrificanti” vanno di casa in casa, chiedendo dolcetti o qualche moneta. Se non ricevono niente, possono giocare un brutto scherzo ai proprietari di quella casa, come svuotare la pattumiera nel giardino o attaccare lattine vuote al tubo di scappamento dell’auto.
Alla vigilia del giorno di Ognissanti, cioè il 31 ottobre, si festeggia Halloween che è una festa legata al mistero, alla magia, al mondo delle streghe e degli spiriti.
Quando gli Irlandesi arrivarono in America, scoprirono che le zucche erano molte più adatte di cipolle e rape per la costruzione delle tradizionali lanterne di Halloween. Quindi la tradizionale Jack o’lantern, simbolo incontrastato di questa festa, è ricavata da una zucca. Pertanto, la zucca è diventata un elemento indispensabile anche per questa festa.
Zucca: salute e bellezza
Come ogni ortaggio e ogni frutto di colore giallo-arancione, la zucca è particolarmente ricca di vitamine A, di minerali quali il potassio, il calcio e il fosforo e di molte altre fibre. Contiene, inoltre, tanta vitamina C e betacarotene.
La zucca è indicata nella prevenzione dei tumori e per mantenere un corretto equilibrio idrico dell’organismo e delle mucose.
La polpa tritata può essere usata anche come lenitivo per infiammazioni cutanee, mentre la buccia può essere usata per piccole scottature.
I semi utili per prevenire e sostenere la terapia contro le disfunzioni a livello delle vie urinarie. Sono inoltre un sicuro aiuto contro la tenia.
Aggiunto al latte o al succo di frutta, l’estratto di zucca è indicato nel controllo delle nausee mattutine, dei disturbi gastrici e prostatici.
Con la polpa della zucca è possibile preparare una maschera di bellezza per il viso. Schiacciate una fettina di zucca cruda e un pugnetto di semi, mescolate il tutto con un po’ di miele, applicate l’impasto sul viso e lasciate in posa per qualche minuto: tutte le pelli, specie quelle grasse con i punti neri, saranno più pulite e levigate.
A cura di Francesco Accogli*
* Preciso, per onestà intellettuale, che per la stesura del presente articolo ho utilizzato la seguente bibliografia e, quando è stato necessario, ho riportato anche brevi periodi degli scritti citati. Ho voluto offrire al lettore, operando questa scelta, uno scritto leggero e divertente senza appesantirlo con note e richiami scientifici. Mi auguro di esserci riuscito.
BIBLIOGRAFIA:
- ACCOGLI, Francesco, Dell’Arte del Pelacane e della Valonea, in “I Salentini”, Andrano, A.II, n.10, Maggio 1988, pp.29 – 30.
- ACCOGLI, Francesco (A cura di), La Quercia dei “Cento Cavalieri”, Tricase, Edizioni dell’Iride, 2005.
- CAVALLERA, Hervé A., Ferdinando Maria Orlandi. Dell’Arte del Pelacane e della Valonea, Lecce, Edizioni del Grifo, 1988, ristampa anastatica dell’edizione del 1794.
- FRACASSO, Rodolfo, Cucuzzari, vanto della storia, in “Siamo La Chiesa”, A. XVIII, n. 6, Nov.-Dic.1990, pp.37 – 39.
- MAGLIO, Antonio (A cura di), Tricase, Cucuzzari, in “Agenda Babbarabbà. Soprannomi paesani nelle province di Brindisi, Lecce e Taranto tra storia e fantasia”, Lecce, Arti grafiche Mondatori, 1996, pp. 366-369.
- RUSSO, Oronzo, Storie di Carnevale. Cucuzzella, la maschera dei tricasini, in “Il Gallo”, A. V, n.5, dal 4 al 17 Marzo 2000, p.2.
- RUSSO, Oronzo (A cura di), Mintete cu lli meju de tie… Detti e proverbi delle genti del Capo di Leuca, Tricase, Gestione Media Editrice s.r.l., 2004.
- TURCO, Elena – MERCOGLIANO, Rosario, Il Carnevale de la nciurita fra maschere e identità, per la valorizzazione delle usanze locali e delle piccole storie di vita paesana, Tricase, Ambaradam srl, 2005.
- VALLI, Donato, I soprannomi sono sedimentazione della storia, in “Siamo La Chiesa”, A. XVIII, n. 6, Nov.-Dic. 1990, p. 39.
- VINCENTI, Francesca (A cura di), Casa noscia. Detti e proverbi del Capo di Leuca, Lucugnano di Tricase, Imago Pubblicità, 2006.
Viviamo in un paese e spesso non conosciamo tanto dello stesso. E’ bello saperne di più.
M’aggiu letta durante l’ura de dirittu a scola e aggiu e m’aggiu mparatu nu casinu de cose ca nu sapia, bravi